Dopo gli incontri con i leader europei avvenuti in occasione dei funerali di Papa Francesco, i mercati sembrano essere stati rassicurati da un atteggiamento più possibilista di Trump verso un accordo sui dazi dopo le roboanti dichiarazioni di inizio aprile che avevano sconvolto i mercati.
E in effetti avvicinamenti verso Europa, Giappone, India e la stessa Cina sembrano esserci almeno a parole.
Azionario in recupero, tassi in lieve discesa e dollaro che ha smesso di perdere, questa la sintesi finanziaria.
Economia americana che affonda invece in un trimestre di recessione a causa dell’accaparramento di scorte (e quindi di importazioni con conseguente deficit commerciale) in vista dell’entrata in vigore dei dazi. L’import è cresciuto del 41% ai massimi dai tempi del Covid.
Il Pil americano nel primo trimestre 2025 è sceso dello 0,3% contro attese di +0,4%. Quello che preoccupa gli analisti è stato però anche il balzo dell’inflazione passata da 2,6% a 3,5% contro attese di 3,1%. Le spese per consumi sono cresciute ma meno della metà del trimestre precedente (+1,8%). Almeno sul fronte dell’occupazione non si ravvisano invece segnali preoccupanti.
Ovviamente non sono mancati gli attacchi di Trump a Powell e la FED che obiettivamente si trova in una posizione molto scomoda con la stagflazione che impone ancora prudenza prima di abbassare il costo del denaro.
Trump, come detto, ha comunicato ai mercati che accordi commerciali con India, Giappone e Sud Corea sono in vista, ma anche la Cina sembra voler accettare un deal equo. Da Pechino solo timide aperture ma ovviamente sarà molto interessante vedere come evolverà nelle prossime settimane questa situazione.
In Europa permangono intanto pressioni al ribasso su crescita e per il momento anche inflazione, mettendo la BCE nella condizione di tagliare ancora i tassi grazie ad un euro lontano dalle zone pericolose. Non dovrebbero cambiare le aspettative con il dato di crescita del Pil europeo del primo trimestre superiore alle attese (+0,4%).
EurUsd sembra aver compiuto fino ad ora quei passi sufficienti ad etichettare l’attuale fase come correttiva all’interno di un bear market strutturale.
Allontanarsi dalla media mobile a 200 di almeno il 4% è stato infatti un requisito essenziale negli ultimi 10 anni per intercettare dei punti di massimo primario su EurUsd. Per il momento questo obiettivo è stato raggiunto anche questa volta e, aldilà delle fisiologiche prese di profitto, l’assalto a 1,14/1,15 sarà necessario per invertire la tendenza di lungo termine favorevole al dollaro.
Quello che fino a pochi giorni fa sembrava essere uno scontato minimo ciclico, in realtà si sta trasformando in altro. Ogni 34 mesi EurUsd realizza infatti un massimo o minimo ciclico di spessore e il prossimo appuntamento è fissato per fine luglio.
Vista l’attuale configurazione tecnica sembra proprio che per la valuta unica diventi più probabile intercettare un massimo di spessore che non un minimo.
Considerando la presenza della parete superiore del canale ribassista potrebbe rivelarsi quella una interessante opportunità di acquisto di dollari in chiave strategica. Scenario da confermare, ma certamente da seguire.
Trump ancora una volta protagonista con le sue dichiarazioni che, almeno questa volta, sembrano aver tranquillizzato il mercato. Per bocca del ministro del Tesoro Bessent i dazi applicati alla Cina e reciproci sono troppo alti e stanno danneggiando le due economie. Lo stesso Trump ha poi cercato di riallacciare un dialogo con i cinesi.
Dopo aver attaccato duramente il Presidente della FED Powell (definito Mr. Too Late) e viste le conseguenze su tassi, borse e dollaro, Trump ha fatto marcia indietro anche su questo fronte dichiarando che non intende licenziare il capo della FED, per il momento sopendo i timori per una perdita di indipendenza da parte della banca centrale più importante del mondo.
Chiaramente le azioni simboliche della Cina (come il rispedire gli aerei Boeing negli USA) ha consigliato maggiore prudenza nella trattativa sui dazi, trattative che sia Giappone che Tailandia hanno per il momento congelato smentendo anche la dichiarazione che avrebbe visto in stato avanzato il trade con numerosi paesi.
Al di là del rimbalzo delle borse su questa parziale schiarita rimangono i nodi aperti sull’evoluzione dei rendimenti a lunga scadenza americana, ancora elevati, e il dollaro che fatica a staccarsi dalla zona di 1,14 contro euro e 142 contro yen.
In Europa, intanto, l’incertezza sui dazi e la forza dell’euro sembrano offrire la sponda ad una politica monetaria ancora più espansiva nei prossimi mesi con il mercato che al momento prezza un costo del denaro fra 12 mesi più basso di 75-100 punti base rispetto ai livelli attuali.
I dati Pmi europei inferiori a quota 50 sia sul comparto manifatturiero che servizi confermano la necessità di misure ulteriori di easing monetario. La stessa crescita dei salari (+1.6%) appare compatibile con un rallentamento dell’inflazione.
Tecnicamente per EurUsd la sensazione è che il rialzo sia destinato ad avere un’incidenza ancora maggiore. Se osserviamo i casi di reazione dell’euro all’interno del bear market cominciato dopo la crisi del 2008 ci accorgiamo che, fatta eccezione per il 2013-2014, i massimi ciclici hanno richiesto in 40 settimane un sacrificio di almeno il 15%, ovvero 10 punti percentuali in più rispetto ai livelli di oggi.
Se così fosse il test (e superamento) di 1.20 sarebbe da mettere in preventivo nei prossimi mesi.
Il Dollar Index, dopo una sequenza rialzista in 5 onde, ha avviato una correzione che con lo sfondamento verso il basso di 99.5 è entrata nella sua seconda fase.
L’obiettivo di questa seconda gamba ribassista potrebbe essere area 95 dove viene uguagliata in ampiezza la prima gamba correttiva, ma anche dove si trova la up trend line che guida il bull market del dollaro dal 2011.
Oppure l’obiettivo finale di questo movimento potrebbe essere molto più in basso e posizionabile tra 85 e 87. Qui troviamo diversi supporti.
Dal minimo del 2018, al 61.8% di ritracciamento del bull market fino a quella proporzione di ampiezza della seconda gamba correttiva pari su quel livello a 1.618 volte la prima.
Aspettando qualche altro consistente segnale contrarian è evidente che ambo gli scenari sono aperti, certificando che il minimo per il dollaro comunque potrebbe non essere ancora stato visto.
La FED non corre in soccorso di Trump, anzi. Le dichiarazioni del Presidente della FED Powell della scorsa settimana hanno fatto emergere un clima di disaccordo abbastanza evidente con l’amministrazione che risiede alla Casa Bianca.
Powell ha detto che la politica non influenzerà in alcun modo le decisioni della banca centrale su tassi, che al momento appaiono appropriati e che richiedono ancora tempo prima di essere mossi per considerare gli effetti dei dazi su consumi e investimenti.
Al momento, ha proseguito Powell, l’economia americana prosegue su un percorso di crescita solido ma all’orizzonte ci sono diverse incertezze. È molto probabile che i dazi generino almeno un aumento temporaneo dell’inflazione secondo il Presidente di una FED, che ha mostrato anche il timore di doversi scontrare a breve con l’andamento divergente di quelli che sono i suoi obiettivi di stabilità. Ovvero l’occupazione e l’inflazione. La prima danneggiata da un rallentamento economico, la seconda dai dazi.
L’ira di Donald Trump verso Powell non si è fatta attendere con rumors che vorrebbero il tycoon desideroso di rimuovere il Presidente FED dal suo incarico.
Il mercato per il momento prezza 100 punti base di taglio nei prossimi 12 mesi ma con molta incertezza.
Trump intanto continua a gettare benzina sul fuoco con lo scontro con Pechino che rimane particolarmente acceso. Soprattutto le terre rare rischiano di essere campo di battaglia commerciale considerando che gli Stati Uniti importano dalla Cina il 70% di quelle utilizzate nelle produzioni manifatturiere.
L’Europa intanto fa tesoro delle timide aperture americane sui dazi e la missione del premier italiano Meloni alla Casa Bianca potrebbe aver fatto da ponte ad un approccio più convinto tra i diplomatici.
Per il momento l’Europa attende prima di applicare dazi reciproci con il 10% già deciso da Trump assieme al 25% su auto e metalli già in vigore negli scambi tra le due aree economiche. La BCE intanto taglia il costo del denaro al 2,25% visto il persistere di minori pressioni inflazionistiche e debole crescita.
Il dollaro americano continua a rimanere debole contro le principali valute del G10, ovvero euro e yen giapponese. Due currency che sono anche le principali in termini di peso del Dollar Index. La sintesi del valore del biglietto verde espressa dal Dollar Index ci dice infatti che siamo di fronte ad un momento decisivo. I supporti di quota 100 sono sotto pressione e il minimo del 2023 è l’ultimo baluardo prima di una rottura che avrebbe impatti notevoli in chiave strategica per chi è posizionato in questo momento lungo di dollari americani.
EurUsd torna in ipercomprato ma al tempo stesso sta cercando di forzare le importanti resistenze di area 1,13 che rappresentano circa i due terzi della correzione dai massimi del 2021 di 1,237. Una chiusura del mese di aprile sopra questa importante resistenza tecnica rappresenterebbe un segnale bullish forte che imporrebbe un cambio di atteggiamento verso il dollaro americano con la debolezza che potrebbe nei prossimi mesi interessare nuovamente l’area di 1,20.
La guerra commerciale scatenata da Donald Trump il 2 aprile non sembra essersi ancora esaurita. Dopo l’annuncio dei dazi per ogni paese poi ritirato per 90 giorni con una tariffa base del 10% per tutti, lo scontro si è spostato sulla Cina con un continuo rialzo delle tariffe doganali oltre il 100% che si è per ora chiuso con una ritorsione di Pechino verso le merci americano del 125% su tutto l’import americano
L’Europa accoglie il ramoscello di ulivo di Trump come una volontà di trattare e sospende per 90 giorni ogni decisione di contro dazi.
In seno alla Casa Bianca si notano però le prime crepe tra strenui difensori della politica dei dazi e politici repubblicani che vedono danneggiata la loro immagine in vista delle elezioni di mid terms del 2024. Ma anche lo stesso Elon Musk ha espresso disappunto per le recenti decisioni di Trump soprattutto con critiche aspre verso l’ideatore di queste scelte economiche, ovvero Navarro.
La speranza è che qualche ravvedimento arrivi nelle prossime settimane vista la fuga da dollaro e bond da parte dei mercati con un contestuale calo di quasi il 20% della borsa americana.
Ovviamente i dati macroeconomici per ora non rilevano rallentamenti di un’economia che però prevedibilmente nelle prossime settimane comincerà a risentire di una fiducia in calo e dei primi dati di Pmi in grado di fornirci un antipasto di quello che verrà. La sensazione è che gli investimenti di aziende americane e non si stiano fermando in attesa di maggiore chiarezza.
La FED difficilmente in queste condizioni di rischio di impennata dell’inflazione agirà come dovrebbe fare in condizioni di probabile recessione economica. Ovvero tagliare i tassi. Anche le curve swap sembrano aver abbandonato l’ipotesi.
La stessa BCE comincia ad essere frenata sull’agire sul costo del denaro a causa dei sempre più alti rischi inflattivi innescati dai dazi. Sarà curioso assistere alle decisioni delle banche centrali nei prossimi meeting di politica monetaria.
Il cambio EurUsd dopo una brevissima pausa è ripartito all’attacco sfondando al rialzo tutte le resistenze che per lungo tempo ne avevano contenuto gli ardori.
Evidente la fuoriuscita dei capitali dagli Stati Uniti con l’euro che assieme al franco svizzero e allo yen giapponese gode dello status di valuta rifugio.
Saltati i livelli di 1,10/1,12 a questo punto si comincia a guardare ben più in alto con obiettivi dell’euro fin sotto 1,20 che non appaiono più così improbabili.
Ci sono momenti in cui l’analisi tecnica ci fornisce dei grafici da manuale. Questo è il caso ad esempio dell’Adx, indicatore di forza del trend che proprio come insegnano i libri teorici di analisi tecnica, con un valore superiore a 30 in ripiegamento è ripartito dopo il test della media mobile a 20 giorni.
Un rimbalzo che ha riportato l’Adx sopra quota 30 a conferma che la salita dell’euro (discesa del dollaro) non è ancora terminata e che è lecito attendersi nuovi massimi nelle prossime settimane.
Il giorno del giudizio è arrivato. O meglio, della liberazione. Ma anche della capitolazione a giudicare dalla reazione dei mercati. Come promesso in campagna elettorale, Trump ha sconvolto il mondo con la sua decisione di mettere dazi sulle merci in ingresso da numerosi paesi con una base del 10% (ad esempio per UK) e incrementi progressivi sulla base dei deficit commerciali degli Stati Uniti verso quei paesi. Quindi per la UE i dazi saranno del 20%, per la Cina del 34%, per altri paesi asiatici come Vietnam e Cambogia sfioreranno il 50%. Permangono in essere i dazi del 25% per Canada e Messico oltre a tutti i dazi già imposti su acciaio, alluminio e settore auto.
Il Presidente americana scatena così una guerra commerciale offrendo qualche giorno a quei paesi che vorranno andare a trattare. Nel frattempo, non mancheranno risposte pronte e ferme di controdazi da parte dei paesi coinvolti (vedi Cina) con il rischio di una inflazione globale che dopo essere stata domata rialza la testa.
Il tutto in un contesto macro che in America finora non ha deluso nel settore servizi, ma che lato manifattura batte in testa da tempo e dove il rischio stagflazione è sempre più alto. L’indice ISM è uscito in calo e sotto i 50 punti con la componente prezzi decollata ai massimi da giugno 2022. Prevedibile pensare che con i dazi andrà ancora peggio.
I tassi di interesse europei continuano intanto a limare i rendimenti verso il basso grazie ad un tasso di inflazione sceso al 2.2% a febbraio con il dato core a 2.4%.
L’inflazione da servizi si ferma al 3.4%, il punto più basso da giugno 2022.
ll mercato non sembra pienamente convinto di un taglio da parte di Francoforte nella riunione del 17 aprile, ma rimossa l’incognita dazi e visti i Pmi manifatturieri dell’Eurozona sotto 50 punti, una nuova sforbiciata appare scontata. In attesa di conoscere le mosse di ritorsione europea verso gli USA.
Il balzo di quasi il 2% di EurUsd post annuncio di Trump ha chiarito molto bene quella che è la visione del mercato di questa nuova strategia commerciale della Casa Bianca. Il dollaro si svaluterà per diversi motivi. Perché per ripianare un deficit è l’arma più veloce, perché i tassi di interesse a lungo termine scendono sulla prospettiva di tassi di crescita economica più bassi, perché i differenziali di rendimento con altri paesi si restringono.
EurUsd ritenta così l’attacco a 1,10 e questa volta sembra che il break fino a 1,12 possa essere alquanto probabile. A quel punto l’euro si misurerà con la down trend line che guida il ribasso dell’euro dal 2020. Superare questo livello aprirebbe scenari alquanto foschi per il biglietto verde.
La volatilità su EurUsd è aumentata post annuncio di Trump e questo era prevedibile. Ma da inizio marzo il cambio si sta muovendo in modo più nervoso verso l’alto con le bande di Bollinger che adesso stanno vedendo aprire i loro estremi superiore e inferiore segnalando che si rischia nelle prossime settimane un aumento ulteriore e prevedibilmente un cambio che si arrampicherà sulla upper band confermando la partenza di un nuovo trend bullish.
Il giorno della liberazione americana, come ha definito Trump il 2 aprile, è arrivato.
Tutte le speculazioni sulle barriere commerciali che gli Stati Uniti vorrebbero alzare nei confronti delle aree economiche verso cui esistono forti sbilanci commerciali forse troveranno una spiegagazione. O forse no visti i precedenti di dazi annunciati e poi ritirati.
Con Trump le sorprese sono all’ordine del giorno e quindi sembra abbastanza inutile riportare le notizie e i rumors che hanno preceduto questa fase. Commenteremo le notizie la prossima settimana prendendo atto per il momento solo del dazio imposto sull’import di auto sul suolo americano quantificato nel 25%. Europa e Giappone le aree economiche maggiormente penalizzate vista la quota ragguardevole di export di veicoli verso gli States.
Al momento gli indici anticipatore Pmi ci dicono che l’America tiene dal punto di vista economico, facendo meglio di Europa, Australia e Giappone. Proprio il paese nipponico vede addirittura l’indice anticipatore scendere sotto i 50 punti giustificando quindi la decisione della BOJ di non alzare i tassi nonostante l’ennesimo dato di inflazione della capitale Tokyo che conferma come le pressioni sui prezzi al consumo non sono sopite.
Il mercato valutario rimane guardingo anche se gli speculatori hanno aumentato nelle ultime settimane le posizioni lunghe su euro, sterlina e yen sulla scommessa che il dollaro sarà la vittima predestinata di questa politica di Trump.
La Fed per il momento si mantiene cauta e aspetta. Questo permette al biglietto verde di non violare certi livelli tecnici che darebbero semaforo verde alla debolezza. Lo stesso deflatore del Pil, indicatore preferito dalla Fed per misurare l’inflazione, è salito nell’ultima rilevazione al 2.8% confermando anche in questo caso che l’inflazione non è stata domata. E i dazi potrebbero peggiorare il profilo futuro.
In Europa sarà interessante verificare come la BCE approccerà il meeting di politica monetaria di aprile dopo la pubblicazione dei dati di inflazione. La sensazione è che Francoforte starà a guardare in attesa di conoscere maggiori dettagli su trade war e negoziati.
Il trend rialzista di EurUsd ha trovato nella zona di prezzo attorno a 1,09/1,10 una prevedibile resistenza.
L’indicatore di forza del trend Adx sopra quota 30 segnalava un progressivo aumento dei compratori testimoniato anche dalle posizioni lunghe di euro degli speculatori tornata a mostrare un segno positivo sui mercati futures dopo diversi mesi.
Prevedibile la fase di consolidamento che però adesso richiede da parte di EurUsd una prova di quanta voglia c’è da parte del mercato di andare all’attacco delle resistenze. La media mobile a 20 giorni sembra rappresentare l’ideale trampolino di lancio in tal senso.
Siamo restii a proclamare finita la fase bullish per EurUsd. Tipicamente il cambio ha raggiunto l’ipercomprato settimanale nelle scorse formalizzazioni di massimi primari.
Ancora sotto questa prospettiva non ci siamo. Rimangono perciò lasciate aperte le porte ad un interessamento di nuovo della fascia di resistenza posizionata attorno a 1,10 con l’escursione fino a 1,12 che sembra essere in questo momento lo scenario più ottimistico per la moneta unica europea.
La riunione di marzo della Federal Reserve non ha portato nessuna decisione sui tassi di interesse rimasti invariati, ma ha allertato circa i rischi al ribasso per la crescita causati dalle misure protezionistiche che l’amministrazione Trump sta implementando.
Tagliate così dalla banca centrale tutte le stime di crescita e alzate quelle di inflazione a causa dei dazi su inflazione. Rimangono per ora ferme le previsioni di due tagli nei tassi nel 2025.
Mercati che non hanno mostrato particolari reazioni alla notizia attesa, con la debolezza del dollaro americano che già aveva anticipato gli eventi.
Non si è fatta invece attendere la risposta di Trump che ha sollecitato Powell a procedere fin da subito con i tagli per combattere il rallentamento economico ormai già messo in preventivo dalla Casa Bianca.
Powell che ha indicato come preoccupanti gli aumenti delle aspettative inflazionistiche degli operatori adesso sopra al 3%.
A questo si abbina la riduzione nelle stime di crescita del Pil 2025 dal 2,1% al 1,7% che diventerà 1,8% nel 2026 con l’inflazione che l’anno prossimo rimarrebbe seppur di poco ancora sopra il 2% obiettivo.
Powell ha poi giustificato il non taglio dei tassi con la necessaria pazienza che deve accompagnare decisioni che potrebbero essere dannose se prese troppo in fretta. La bassa disoccupazione, infatti, sconsiglia una riduzione del costo del denaro immediata.
In Europa invece l’ottimismo dopo l’approvazione del maxi piano di finanziamento per difesa e infrastrutture del neo governo tedesco di Merz, ha spinto l’euro al rialzo così come ha mantenuto i rendimenti decennali tedeschi non lontani da quella soglie del 3% che rappresenta lo spartiacque tecnico per una nuova fase di rendimenti più alti in futuro.
Il maggior indebitamento, ma anche l’annunciato piano europeo di spesa per la difesa, rendono la BCE più prudente su futuri tagli nei tassi che comunque dovrebbero esserci almeno in altre due occasioni, vista l’inflazione tiepida e sempre più allineata al 2%.
La chiusura del trimestre difficilmente vedrà un EurUsd sopra 1.113.
Una chiusura del cambio sopra questo livello formalizzerebbe un raro bullish engulfing pattern trimestrale che sarebbe una luce verde a nuovi allunghi dell’euro nei mesi a venire.
EurUsd su base trimestrale per tre volte ha visto un ipervenduto in grado di certificare un minimo di spessore. Nel 2000, nel 2015 e nel 2022.
In tutti e tre i casi il cambio dimostrò una eccellente capacità di reagire con il movimento attuale che sembra essere una continuazione del bull market cominciato nel 2022 con carte in regole per riportare il cambio sopra 1.20.
L’Rsi trimestrale purtroppo non ci offre un’analoga indicazione per definire quando un massimo primario sta per essere formalizzato, ma i livelli attuali degli oscillatori non sembrano comunque compatibili con questo scenario.
Ragionando più nel breve termine l’ipercomprato (e la resistenza di 1.10) sta favorendo una fase di alleggerimento modesto sull’euro prima di attaccare quelli che sono i livelli che potremmo definire cruciali in ottica di medio periodo, anche per chi deve coprire acquisti (o attivi finanziari) in dollari, ovvero area 1.12. Come si vede dal grafico l’Rsi sopra 70, come nell’estate 2024, suggerisce una fase di stallo/ritracciamento del rialzo con i supporti di area 1,06 che tornano utili per rimpolpare le posizioni lunghe di euro.
Trump torna all’attacco dell’Europa e annuncia tariffe del 25% su auto ma non solo contro una UE, a suo modo di vedere, nata per truffare gli Stati Uniti. L’incredibile narrativa del Presidente americano in realtà sembra non essere stata colta da un mercato che dal suo insediamento ha preferito le azioni (e la valuta) europee a quelle americane.
Anche il rame sembra entrato nel mirino con paesi esportatori come Cile, Messico e Canada a questo punto a rischio dazi sulla preziosa materia prima.
Altro tema di mercato che è emerso in settimana è l’intervento deciso di Elon Musk sul fronte dei tagli alla spesa pubblica necessari per evitare il default sul debito. Lo stesso Musk ha indicato nello short sui bond americani una strategia stupida che non riconosce il lavoro messo in campo dalla nuova amministrazione. In questo caso gli effetti sui rendimenti sembrano essere effettivamente arrivati con i tassi sui titoli decennali scesi in poco tempo da 4,8% a 4,2%.
Infine c’è la situazione geopolitica. La pace tra Ucraina e Russia sembra essere un obiettivo primario di Trump che dopo i primi approcci con Putin ha tentato di avvicinarsi al leader ucraino. Lo strappo in diretta tv ha messo per ora in stand by ogni trattativa indignando i leader europei per il trattamento riservato a Zelensky.
L’approvazione di nuove barriere doganali sposta adesso l’attenzione sulla FED che dovrà fare i conti con gli effetti di un aumento dell’inflazione importata. Uno scenario che già sta creando un appiattimento della curva dei rendimenti con tassi a lunga più vicini a quelli a breve segnalando un possibile rallentamento della crescita, ma che diventa sfidante per una banca centrale ancora incapace di riportare l’inflazione stabilmente al 2%. E che ora rischia di infiammarsi di nuovo.
Inflazione che potrebbe però trovare una sponda di raffreddamento nei consumi. La fiducia dei consumatori è scesa infatti sotto quota 100 punti nel consueto sondaggio FED e potrebbe anticipare un calo nella domanda interna a causa di nuovi dazi.
Il cambio EurUsd sta vivendo una fase molto tecnica con continui tentativi di assalto alla resistenza ormai chiaramente decisiva di 1,05.
Come si può apprezzare dal grafico su questa resistenza non solo troviamo una serie di massimi sui quali è altrettanto prevedibile che si annidino diversi stop loss delle posizioni short, ma anche livelli barriera del mercato delle opzioni e quella media mobile a 20 settimane che già a novembre 2024 aveva arginato la forza dell’euro dando il via ad una fase di ribasso molto intensa della valuta unica europea.
Nonostante questa ritrovata vitalità dell’euro i grafici di lungo periodo sembrerebbero negare la possibilità che l’euro possa andare tanto oltre certi livelli che potremmo identificare ad esempio in zona 1,08/1,10.
Il grafico su scala trimestrale ci dice che l’indicatore stocastico è ancora oggi in posizione bearish con un segnale che verrebbe negato solo in presenza di un ipervenduto con contestuale taglio dal basso verso l’alto della linea del segnale. Al momento evidentemente siamo ancora lontani da questo pattern.
Il titolo di questo paragrafo può valere in senso figurato come in senso reale.
Con la decisione di abbandonare l’Ucraina al proprio destino accordandosi per arrivare ad una pace con la sola Russia, Trump ha deciso di lasciare il paese dell’Est Europa in balia di eventi bellici che senza gli aiuti americani avranno un finale già scritto. Ma la rottura è anche con l’Europa che il tycoon richiama alle proprie responsabilità dopo anni di attacchi morali a Trump e alla sua politica, ma anche dopo anni di divisioni interne che hanno sempre richiesto l’aiuto finanziario statunitense per risolvere questioni geopolitiche di prossimità.
Difficile capire cosa succederà adesso.
L’Europa, nonostante i tentativi del Presidente francese Macron nel riunire tutti i leader in conferenza, è frammentata e si attende l’esito delle elezioni in Germania per avere un interlocutore più forte al tavolo. Senza un corposo aiuto di pacchetti all’Ucraina la Russia stravincerà questa guerra e questo metterà ai confini un nemico dichiarato. Ma al tempo stesso gli aiuti colpirebbero un continente già indebitato e in stagnazione economica.
Nella settimana appena conclusa poco spazio è stato dato alle informazioni macro anche perché di nuovo Trump ha occupato le prime pagine dei media con l’annuncio di nuovi dazi sull’import di auto, farmaci e chip nella misura del 25% che impatterebbe Europa e Asia, grandi fornitori di questo tipo di prodotti sul territorio americano.
Le minute della FED relative all’ultimo meeting di politica monetaria di gennaio hanno rappresentato forse la notizia più interessante con la certificazione che l’inflazione rimane ancora elevata e la crescita del mercato del lavoro solida a giustificare la staticità attuale del costo del denaro. Nuovi ordini esecutivi di Trump mettono però in dubbio la possibilità che la banca centrale americana possa mantenere la sua indipendenza in futuro.
A Francoforte in sede BCE comincia intanto a prendere forma una fronda anti taglio dei tassi di interesse, forse per la consapevolezza che i cambiamenti geopolitici in atto rischiano di alterare il processo di disinflazione all’interno di Eurolandia.
Il cambio EurUsd elegantemente si è mosso dai supporti di 1,02 che avevamo indicato come cruciali per evitare un allungo fin sotto la parità, fino alle resistenze poste in area 1,05.
Qui il doppio test ha confermato la solidità di un livello oltre il quale per l’euro si aprirebbero le porte di una potenziale inversione di tendenza. Al momento quindi non ci sono segnali né al ribasso e né al rialzo che possano far pensare a movimenti direzionali ben precisi nelle prossime settimane. Evidente che in questo momento si guardi all’evoluzione degli scenari geopolitici per capire come si muoveranno Governi e banche centrali nei prossimi mesi, anche lato valutario.
Il Dollar Index è forse la dimostrazione migliore dell’incertezza che sta regnando sul mercato valutario. DXY, infatti, sembrava aver formalizzato un doppio minimo con il break di area 107, poi è ritornato sui propri passi mettendo tutto in discussione.
Al momento non ci sono indicazioni di stop and reversal sul trade long dollaro, ma è evidente come una discesa del cambio sotto il supporto di 106 (massimo del 2024) avrebbe implicazioni molto interessanti sull’evoluzione del biglietto verde nel corso dei prossimi mesi.
Altra dinamica valutaria da monitorare con estrema attenzione.
Powell in audizione alle Camere ha ribadito che non c’è fretta di tagliare i tassi, mettendo praticamente una parola fine sulla politica di taglio nei tassi salvo una inaspettata debacle di un mercato del lavoro che rimane sempre in salute. Ribadita dal Presidente FED anche l’opportunità di avviare una revisione delle strategie di comunicazione con i mercati, escludendo però un innalzamento dell’obiettivo di inflazione dal 2% attuale.
Inflazione americana che ha stupito al rialzo ritornando al 3% con il dato core per il 45esimo mese consecutivo è rimasto sopra questa asticella psicologica.
Anche Lagarde è intervenuta in settimana confermando che l’inflazione europea è in rallentamento, la crescita è stagnante a livello manifatturiero, ma soprattutto che il percorso sui tassi è incerto visto che una guerra commerciale particolarmente acuta potrebbe avere come effetto una ripresa dell’inflazione stessa.
Intanto la Germania si avvicina alle elezioni fissate per il 23 febbraio, una prova della verità per l’intera UE che potrebbe dover fare i conti con un paese leader dove le derive ultranazionaliste prenderebbero il sopravvento.
Trump intanto tesse la tela per un piano di pace tra Ucraina e Russia che darebbe respiro all’intero Vecchio Continente alle prese ormai da tre anni con una pericolosa guerra di confine e che ha avuto il prezzo del gas naturale come causa principale di una stagnazione economica proprio nei paesi più trainanti a livello industriale come la Germania e l’Italia. Alla carota si abbina però il bastone con lo stesso Trump che minaccia pesanti dazi proprio all’industria europea a suo parere complice di un atteggiamento ostile verso le corporate americane.
Il mese di febbraio stagionalmente è l’ultimo di una serie di periodi favorevoli al biglietto verde che dalla primavera in avanti storicamente lascia spazio alla ripresa dell’euro.
Il mercato sembra prepararsi a questo scenario con l’ennesimo test di area 1,02 ad inizio mese seguito da un rimbalzo che a fatica sta prendendo corpo.
A questo punto diventa decisiva la zona di resistenza collocata tra 1,05 e 1,06. Ci siamo proprio in chiusura di settimana.
Qui troviamo il massimo di gennaio e qui troviamo anche la media mobile a 100 giorni. Un suo superamento formalizzerebbe un doppio minimo con obiettivi a quel punto da collocare tra 1,09 e 1,10.
Quanto siano rilevanti certi livelli per EurUsd, nello specifico la chiusura mensile sopra 1,05, lo comprendiamo bene dal grafico mensile.
Fatta eccezione per il collasso temporaneo del 2022 causato dallo scoppio della guerra in Ucraina e dal relativo picco nel prezzo dei prodotti energetici, EurUsd negli ultimi 10 anni ha sempre trovato su questa zona di prezzo un livello di sostegno dal quale ripartire.
Fondamentale per l’euro risalire nei prossimi mesi sopra 1,05 allontanando il rischio di scendere sotto la parità, uno scenario tecnico che non può essere cancellato fino a quando questo pezzo del mosaico non tornerà al suo posto. Il movimento in corso è di conseguenza molto interessante come tale sarà la chiusura del mese di febbraio.