Nel tentativo di smussare gli angoli di un board composto da numerose voci che vorrebbero ovviamente politiche monetarie diverse a seconda del paese che rappresentano, la BCE deve far fronte all’inevitabile aumento degli spread tra i paesi periferici dell’eurozona (Italia e Spagna in primis) e paesi core (Francia e Germania). Il rialzo dei rendimenti su tutti i tratti di curva ha riportato i tassi sui titoli di stato più sicuri dell’eurozona sopra l’1%, almeno sulle scadenze decennali. Contemporaneamente il maggior debito pubblico sommato al progressivo disimpegno sul fronte del QE da parte della BCE per fronteggiare un’inflazione sempre più insostenibile, ha spinto gli spread dell’Italia ad esempio a ridosso dei 200 punti base.
Un problema per la Lagarde che deve muoversi tra attese di inflazione molto alte, rischio di recessione e appunto allargamento degli spread.
Intanto in America stiamo assistendo al ritorno di rendimenti reali positivi. Almeno sulle scadenze decennali infatti le attese di inflazione in ridimensionamento hanno portato ad ottenere un +0,2% di rendimento reale che non si vedeva da diversi mesi. Elemento che assieme ad una maggiore inclinazione della curva dei rendimenti contribuisce a mantenere un interesse molto alto da parte dei mercati per il dollaro americano. L’inflazione americana intanto rimane decisamente surriscaldata con un dato di aprile a 8,3% in leggero calo rispetto a marzo ma sempre sostenuto anche nella lettura del dato core uscito a 6,2%. Powell ha confermato che nei prossimi due appuntamenti la FED alzerà i tassi di 50 punti base ogni volta e così il dollaro ha preso ulteriore slancio.
Come si può agevolmente apprezzare dal grafico l’allargamento negli spread di rendimento tra titoli decennali americani e tedeschi soprattutto dal mese di febbraio quando è diventato più consistente ha fatto male a EurUsd. Con un premio di rendimento passato in poche settimane da 160 punti base a quasi 200 il mercato non poteva rimanere insensibile all’offerta di un dollaro che oltretutto si presta molto bene a ricoprire quel ruolo di valuta rifugio in un contesto particolarmente complesso a livello geopolitico.
Il grafico settimanale evidenzia con chiarezza come l’ipervenduto sul cambio EurUsd è piuttosto forte pur non sfociando in un eccessivo sentiment negativo verso l’euro. Sul mercato dei futures gli speculatori solo da poco sono diventati net short con percentuali sull’open interest tutto sommato modeste. Il processo di uscita degli speculatori dal long Euro appare quindi ancora ordinato e non tale da far pensare ad una capitolazione. Anche nel 2014 servirono diversi mesi in ipervenduto prima di intercettare un minimo primario sulla moneta unica europea. Sicuramente i supporti raggiunti sono talmente di spessore da far pensare che un loro cedimento potrebbe innescare un ritorno almeno alla parità tra euro e dollaro.
Analizzando il mercato dei futures si comprende come il sentiment sull’euro non risulti ancora particolarmente depresso o comunque tale da far pensare ad una inversione di tendenza a breve.
La FED ci mette poi del suo alimentando attese di ulteriore restrizione nella politica monetaria.
L’aumento di 50 punti base nei tassi di interesse la scorsa settimana era previsto con un mercato che continua a scommettere su una fine del ciclo di rialzo tra il 3,25% e il 3,5% con qualche punta speculativa al 3,75%. I tassi reali sulle scadenze decennali sono tornati positivi come non si vedeva da inizio 2000 e questo fa comprendere al mercato come ormai la FED si entrata in modalità tightening.
E lo stesso si può dire per la politica di QE con il passo di riduzione degli acquisti che andrà ad accelerare rispetto al previsto.
Il differenziale tassi sull’euro continua così ad allargarsi con le prospettive di crescita tra le due aree economiche in ulteriore ampliamento anche a causa di una guerra in Ucraina che da lampo sembra destinata a diventare permanente.
La Bundesbank ha stimato nelle scorse settimane in un -2% l’impatto sul Pil tedesco causato da un embargo sull’energia russa.
Difficile pensare ad una BCE che aumenta i tassi in maniera aggressiva in un contesto che rischia di diventare seriamente recessivo in questo 2022. Il mercato swap continua comunque a scommettere su 150 punti base di rialzo nei tassi di Eurolandia entro 12 mesi. Fatichiamo a pensare ad uno scenario di questo tipo qualora i dati economici dovessero peggiorare e l’inflazione ripiegare per semplici effetti stagionali.
A tutto questo si sta aggiungendo un evidente rallentamento economico in Cina che ha visto le autorità cinesi agire subito sul cambio con una svalutazione record che non si vedeva dal terribile agosto 2015.
La condizione di ipervenduto raggiunta da EurUsd è evidente osservando diversi oscillatori di prezzo. Il tasso di variazione ad un mese per esempio è scesa sotto l’asticella del -5%. Un evento tecnico che ci riporta a qualche mese fa ma soprattutto a marzo 2020 quando il dollaro venne utilizzato in modo massiccio come bene rifugio dagli investitori. Se questa dovesse rivelarsi una trappola per orsi il cambio a questo punto dovrebbe mostrare una reazione tornando sopra 1,06/1,07.
Il grafico mensile del Dollar Index intanto ci segnala qualcosa di molto importante. La variazione annua nel valore del biglietto verde è stata superiore al 15% e questo evento ha altri quattro casi simili negli ultimi 25 anni. In tutti e quattro i casi il Dollar Index è salito per diversi mesi ancora prima di correggere in modo vigoroso. Unica eccezione quella del marzo 2009 quando però l’accumulazione sul dollaro era in corso prima di esplodere in un clamoroso bull market.
La Fed non mostra preoccupazione per i tassi di interesse in costante ascesa. Con il decennale vicino al 3% e il 2 anni non lontano dal 2,75% ormai sembra essere chiaro al mercato che la politica monetaria non fermerà la sua stretta prima del 2,75%/3%.
Se ne sta accorgendo anche il mercato azionario il cui rimbalzo sembra già essersi spento sulla preoccupazione per una costante ascesa del costo del denaro.
La FED ha recepito il mandato di Biden che vuole stroncare l’inflazione prima delle inflazioni di mid terms. Difficile veder scendere i prezzi prima di novembre, ma Biden si accontenterebbe almeno di un segnale di inversione in una tendenza che sta bruciando velocemente il potere d’acquisto degli americani. Questo è il momento di pensare alla classe media e non a Wall Street e per questo il 2022 si presenterà fino alla fine particolarmente complesso per gli asset finanziari.
Al momento non sembrano esserci grandi dubbi sul fatto che la FED alzerà di 50 punti base il costo del denaro il 4 maggio e altri 50 punti base verranno molto probabilmente comunicati a giugno.
Il Beige Book ha confermato che la crescita del lavoro rimane robusta, i salari sono in costante aumento e questo rende necessaria una politica neutrale se non addirittura leggermente restrittiva per ridurre le spinte inflattive.
Anche in Eurolandia si continua a parlare di rialzo dei tassi di interesse con alcuni membri del board di Francoforte che cercano di punzecchiare una Lagarde che finora ha rintuzzato gli attacchi. Al momento l’unico ritocco all’insù il mercato lo vede a luglio sperando che a quel tempo l’economia europea possa vivere dei momenti migliori di quelli recenti.
In questo contesto il dollaro tenta l’attacco a 1,08 contro euro a quanto pare con buone probabilità di successo.
Un movimento di rimbalzo, quello di EurUsd, che era tecnicamente atteso ma che sembra già essere naufragato con i crolli delle materie prime dopo il tonfo dei mercati asiatici di lunedì. Le divergenze tra prezzo e Rsi che avevamo segnalato la settimana scorsa hanno temporaneamente supportato l’euro che però ha immediatamente ripiegando cedendo 1,08. La media mobile a 100 giorni di area 1.11 rimane la massima ambizione per un cambio che in questo momento appare ancora inserito in un solido bear market.
Se la divergenza sui grafici daily non sembra aver avuto molto successo nell’aiutare il rimbalzo dell’euro, osservando i grafici di lungo periodo gli investitori nella moneta unica europea cominciano a guardare con seria preoccupazione il grafico mensile di EurUsd. Formalmente una chiusura di aprile sotto 1.09 aprirebbe le porte all’inversione di tendenza del trend bullish di lungo periodo. Si può concedere un’apertura di credito per il mese di maggio ma se l’euro non recupera in fretta questo supporto la parità sembra diventare un obiettivo possibile in questo 2022 di EurUsd.
Il mercato si muove con decisione sui rumors e vende sulle notizie. La scorsa settimana i falchi della FED si sono fatti sentire e anche con esponenti importanti del FOMC.
La vice presidente Brainard è stata chiara. La banca centrale deve muoversi verso la neutralità in fretta mettendo la lotta all’inflazione al primo posto tra gli obiettivi del 2022.
Barkin ha rincarato la dose indicando la neutralità sui tassi e la velocità come fondamentali per attenuare gli effetti dell’inflazione muovendosi anche più in fretta del previsto se necessario. Bullard si era già espresso confermando le sue aspettative di rapida normalizzazione del costo del denaro.
Il passaggio verso un territorio di tassi neutrali (idealmente attorno al 2,5% di Fed Funds) non sarebbe però sufficiente per un mercato che già ora sconta con i tassi swap un costo del denaro sopra al 3% nel 2023.
A maggio il giro di vite da 50 punti base è certo. Anche per giugno l’aspettativa è la stessa. E la BCE che farà? Questo è un punto ancora incognito. L’ultimo meeting di politica monetaria ha fatto tornare in auge le colombe. Il QE finirà come previsto nel terzo trimestre, ma come ha detto Lagarde, i tassi saliranno solo dopo che questo programma sarà terminato. Una notizia che ha gelato il mercato pronto a rilanciare l’euro.
L’economia ovviamente sta risentendo degli effetti negativi della guerra ai confini orientali e si somma nel breve periodo anche una fase di incertezza alimentata dalle elezioni francesi. Il margine di vantaggio di Macron al primo turno su Le Pen non è tranquillizzante e la prossima settimana sarà decisiva per le sorti della politica comune europea.
Un doppio minimo potrebbe essere all’orizzonte per EurUsd confortato in questo anche da una divergenza sull’oscillatore Rsi.
Un nuovo bottom dopo quello di marzo a 1.08 con tanto di bullish engulfing pattern (ovvero una candela rialzista che ingloba quella ribassista precedente), sembra confermare la valenza di una zona di prezzo che già tra febbraio e marzo 2020, in piena prima ondata Covid, aveva permesso all’euro di costruire una base di ripartenza temporanea.
Ma se rimbalzo dovesse essere quale potrebbe essere l’obiettivo di EurUsd? Al momento il potenziale massimo è rappresentato da quella media mobile a 100 giorni che da quasi un anno contiene le velleità dell’euro. Tra 1.12 e 1.125 (down trend line ribassista) troviamo al momento il punto di maggiore resistenza che dovrebbe incontrare l’euro sulla sua strada. Prima però c’è da lottare per mantenere viva la fiammella del doppio minimo.
Divergenza che annotiamo anche nell’indicatore price oscillator espressione della differenza percentuale tra prezzo spot e media mobile a 200 giorni. EurUsd si è allontanato in modo notevole rispetto ai suoi standard storici dalla media mobile esponenziale a 200 giorni. Uno spread di oltre il 5% è un evento raro che testimonia l’eccesso di ribasso probabilmente raggiunto dall’euro. La divergenza ci fa capire che i prezzi spot faticano a mantenere l’inerzia. Segnale di bottom temporaneo per l’euro?
La pubblicazione dei verbali della Federal Reserve conferma ciò che il mercato aveva già subodorato. A maggio il rialzo dei tassi ci sarà e sarà di entità considerevole e pari a 50 punti base. I falchi sembrano così aver preso il sopravvento a partire dal Vicepresidente Brainard che ha indicato come metodico il processo di aggiustamento nel corso del denaro che la FED porterà avanti nei prossimi mesi.
Ciò che preoccupa i mercati azionari e obbligazionari è però soprattutto il veloce processo di dimagrimento del bilancio della banca centrale. I quasi 9 trilioni di dollari attualmente presenti nel bilancio della FED scemeranno velocemente e ad un ritmo superiore a quello del 2017-2018. I titoli in scadenza non verranno rinnovati e questo velocizzerà un processo di normalizzazione che sta seguendo i tempi dettati da un’inflazione persistente. In questo momento l’impressione è quella di una banca centrale che non sembra preoccuparsi più di tanto della crescita economica e delle valutazioni di borsa.
Il mercato attualmente sconta un tasso terminale di rialzo nel costo del denaro americano al 3,25% nel 2023 e ovviamente questo ulteriore allunga ha favorito il dollaro americano che però sembra fatica nello sfondamento di certi livelli tecnici contro euro. La curva dei rendimenti invertiti sui tratti di curva dal 2 anni in su cominciano a segnalare rischio di recessione economica e questo elemento potrebbe essere un fardello per un biglietto verde che tipicamente non guadagna terreno nei sei mesi successivi il primo rialzo dei tassi.
In Eurolandia la BCE dovrà rompere gli indugi. I prezzi alla produzione hanno mostrato una dinamica impressionante con una crescita a febbraio del 31% segno che l’inflazione non mollerà facilmente la presa.
Il mercato prezza un primo rialzo del costo del denaro europeo a luglio con 125 punti base di aumento nei prossimi 12 mesi. Notizie che stanno permettendo all’euro di tenere quanto meno le posizioni.
Uno sguardo va lanciato anche verso le elezioni francesi che non hanno aiutato l’euro. Al primo turno sono stati Macron e Le Pen ad ottenere il maggior numero di voti. Fra due settimane lo scontro finale sarà di nuovo tra loro e l’Europa guarda con il fiato sospeso a Parigi nel timore di una sconfitta di Macron.
Questa volta non è stato necessario nemmeno arrivare a ridosso della media mobile a 100 giorni per EurUsd con le notizie sui tassi americani combinate alle tensioni belliche che hanno favorito un ridimensionamento del cambio non appena arrivato a ridosso delle resistenze di 1.12. Proprio questo livello dinamico rappresenta il fulcro tecnico per i prossimi mesi. Solo uno sfondamento verso l’alto aprirebbe le porte ad un primo allungo fin sotto 1.15 dove prevedibilmente si scatenerebbe la prima consistenze reazione dei compratori di dollari.
Il Dollar index conferma la tonicità di un dollaro che soprattutto contro yen sta mostrando la sua forza. Procedendo per scalini come tipicamente accade in un trend regolare e consolidato, il Dollar Index torna a testare la parete superiore del canale. Tra 97 e 98.5 i punti di ideale sostegno e quindi ingresso long sul biglietto verde per le prossime settimane.
I propositi hawkins manifestati da diversi esponenti BCE e le speranze per un processo di pace tra Ucraina e Russia, influenzano indubbiamente l’andamento di EurUsd. La scorsa settimana è stata emblematica con le parole di speranze arrivate dal vertice di pace di Istanbul capaci di provocare un recupero poderoso dell’euro prima di un ritorno del pessimismo e di conseguenza di maggior vigore del dollaro.
Se i tassi di interesse in America sono visti dal mercato al 2,75% entro 12 mesi con un picco probabilmente al 3%, nell’area Euro si comincia a prezzare un aumento di 125 punti base da qui a marzo 2023 con successivo ritocco di altri 65 punti base entro il 2024, contribuendo così ad alleviare la distanza tra spread 2 anni Usa-Euro con il biennale europeo tornato sopra la linea dello zero per la prima volta dal 2014.
L’inflazione registrata in alcuni paesi core preoccupa diversi esponenti del board di Francoforte.
La Spagna ha visto schizzare i prezzi al consumo al 9,8% a marzo, la Germania sulla base dei dati preliminari è salita al 6,8%, l’Italia al 7%. Mentre tutta l’Europa attorno ad Eurolandia si muove sui tassi l’immobilismo della BCE rischia di non far adempiere a Lagarde l’unico mandato che ha, controllare proprio il livello dei prezzi al consumo.
Negli Stati Uniti i segnali hawkins non mancano, con i prossimi meeting di giugno e luglio che potrebbero offrire un doppio rialzo da 50 punti base.
Le curve dei rendimenti proseguono nel loro processo di inversione anche se manca quella più importante, ovvero quella generata dal differenziale tra tassi a 10 anni e tassi a 3 mesi. Solo quando questo tratto sarà invertito allora il count down verso la prossima recessione sarà attivato.
La chiusura mensile di EurUsd non può essere ignorata. I graficisti esperti di candele giapponesi riconosceranno la figura di hammer, un classico pattern che segnala come questo terzo mese dell’anno è stato caratterizzato da una iniziale fase di pessimismo estremo quasi completamente riassorbito nel finale. La guerra in Ucraina ed ai suoi effetti sono naturalmente i responsabili ma anche l’evoluzione sul fronte dei tassi di interesse commentata poco fa ha la sua importanza.
Potremmo a questo punto essere portati a pensare che EurUsd è nelle condizioni di ripartire verso 1.20
In realtà il Macd mensile sembrerebbe non confermare tale view. La media mobile che accompagna il Macd è stata tagliata dall’alto verso il basso nel corso del 2021 aprendo le porte a nuovi minimi come nel 2018, nel 2014 e nel 2011. Rispetto ad allora però la stessa media mobile (linea nera tratteggiata) ancora non è scesa sotto lo zero, evento che nelle tre annate precedenti è stato necessario per cominciare a parlare di minimo primario di EurUsd. Il minimo primario di EurUsd non è stato ancora visto molto probabilmente.
Indubbiamente la figura tecnica di hammer su scala mensile è importante e non può essere sottovalutata. Ribadiamo che solamente sopra 1.14 si accenderanno le prime luci di inversione di tendenza. Per il momento monitoriamo le primissime resistenze sulle quali EurUsd si trova a dover fare i conti. Partendo dai massimi di maggio 2021 ed escludendo la fiammata di inizio 2022, la down trend line già ora è messa alla prova dal mercato. Teoricamente qui bisognava cominciare ad acquistare dollari ed infatti sul finire di settimana gli “orsi” hanno fatto risentire forte la loro forza spingendo l’euro sotto 1,10.
L’aumento dei tassi di 50 punti base sembra essere da mettere in preventivo da parte della FED nel meeting di maggio. Dopo un Powell più falco che colomba ci ha pensato il solito Bullard a rimarcare come i tassi dovranno non solo essere alzati subito di 50 punti base ma spingersi fino al 3%.
Il dollaro naturalmente ha tratto giovamento da questa view hawkins della FED con un picco 2023 di tasso di interesse previsto al 2,75% e con un 70% di probabilità di rialzo di 50 punti base a maggio.
Alcuni tratti di curva galleggiano attorno alla parità dopo una modesta inversione (ad esempio lo spread 10-5 e 10-3), ma appare ancora ben lontano da questo scenario il differenziale tra 10 anni e 3 mesi.
Se non si può ancora parlare di recessione nel 2023 si può certamente parlare di perdita consistente di potere d’acquisto da parte dei cittadini americani che quanto meno viene compensata da una valuta più forte rispetto al resto del mondo. Sicuramente rispetto all’euro.
A Francoforte non sembrano avere le idee molto chiare. Consapevoli che il tasso di inflazione attuale non è generato da domanda e da salari in aumento, al tempo stesso Lagarde sa che il rallentamento economico è in atto ma che tutte le banche centrali attorno ai confini dell’Eurozona (escluse Svezia e Svizzera) stanno alzando il costo del denaro.
Mantenere troppo a lungo un atteggiamento espansivo può diventare pericoloso anche perché l’euro potrebbe scivolare troppo in basso alimentando ulteriormente il fenomeno dell’inflazione importata.
Tipicamente il dollaro tende a non essere forte nei primi mesi post rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve.
Questa situazione storica avvalora la nostra tesi di una necessaria fase di “digestione” del recente rally da parte di EurUsd. Una convergenza verso la media mobile a 200 giorni appare possibile se non addirittura probabile.
Il price oscillator, ovvero la differenza percentuale tra prezzo spot di EurUsd e media mobile a 200 giorni, ha rimbalzato dopo aver toccato un minimo statistico rilevante sotto quota -5%.
Livello toccato a fine 2016, quando un minimo primario venne formalizzato, e nel 2018 senza particolari preoccupazioni per il biglietto verde salvo appunto una convergenza verso la media mobile.
Questo rimane al momento l’obiettivo minimale di un movimento che potrebbe convergere nei prossimi mesi verso la linea di resistenza dinamica attualmente posizionata a 1,145, con un livello di discesa settimanale al momento quantificabile in circa 20 pips. Fra un mese EurUsd a 1,135 potrebbe rappresentare una buona opportunità di ingresso.
Se una fase di riflessione appare necessaria per il biglietto verde, la tendenza rialzista del dollaro non è comunque in discussione.
La tecnica di Ichimoku ci fornisce ormai da mesi un sentiero ben tracciato di dove si posizionano i livelli di supporto da tenere sotto controllo per formalizzare una eventuale inversione di tendenza. Per il Dollar Index area 96 rappresenta il livello di supporto più solido da guardare nelle prossime settimane come livello di reingresso.
L’aumento tanto atteso dei tassi in America è arrivato. Con il quarto di punto promesso da tempo, Powell ha cominciato il processo di normalizzazione del costo del denaro.Il FOMC ha previsto altri sette rialzi nel corso dell’anno corrente, tre nel 2023 e poi uno stop che probabilmente sarà necessario per far digerire all’economia il maggior livello dei tassi di interesse.
Proprio quell’economia che sembra essere per il momento passata in secondo piano. C’è un’inflazione da sconfiggere e ogni risorsa dovrà essere utilizzata per andare nella direzione di un raffreddamento dei prezzi al consumo.
La banca centrale americana si aspetta tassi attorno al 2,75% per il 2023, una serie di strette più forti di quello che sarebbe da considerare al momento un tasso di equilibrio con il rischio di inversione della curva dei rendimenti prima di allora sempre più probabile.
La lotta senza quartiere andrà fatta sull’inflazione contenendo i consumi e questo naturalmente alle borse, che pur hanno reagito positivamente, in prospettiva potrebbe non piacere.
Le previsioni di crescita sono state ridotte al 2,8% nel 2022 rispetto alla stima iniziale di 4%. Powell sa che qualche danno collaterale per arginare l’inflazione ci sarà ma al momento è un sacrificio da fare.
Il dollaro scontando da tempo questa notizia, non ha praticamente reagito, anzi ha mostrato un po’ di debolezza ritornando sopra 1.10.
L’euro sembra in questo momento molto legato alle sorti di una guerra tra Ucraina e Russia ancora lontana dalla fine, ma che sembra lasciare spazio alla diplomazia e che ha visto raffreddarsi un po’ di speculazione sul prezzo del petrolio tornato sotto i 100 dollari al barile.
Più difficoltosa la situazione in Europa. L’indice tedesco ZEW è crollato a -39 punti rispetto ai 54 di marzo, decisamente una lettura pessima che mostra tutte le preoccupazioni del motore economico d’Europa per le conseguenze della guerra. E la BCE dovrà tenerne conto.
Come abbiamo visto la scorsa settimana gli indicatori di forza del trend suggerivano una pausa di riflessione nel trend bearish che avrebbe permesso al dollaro di ricaricare la molla.
Al momento il massimo potenziale di rialzo dell’euro potrebbe essere già stato raggiunto anche se ribadiamo come una salita fino alla media mobile a 100 giorni di 1.13 rappresenterà una buona opportunità per chi è ancora fuori dal biglietto verde per entrare lungo. Le prospettive di politica monetaria, il differenziale di crescita e le tensione geopolitiche sembrano tutti fattori pro dollaro.
Chi osserva i grafici di lungo periodo non può però non essere perplesso sulla possibilità che il biglietto verde riesca ad andare tanto oltre i livelli correnti. La trend line che unisce i minimi 2016 e 2020 passa proprio dalle parti di 1.09. Un pò più sotto troviamo supporti storici che negli ultimi 10 anni non hanno mai permesso al dollaro di forzare la mano contro euro. Sarà la volta buona? Vedremo, sicuramente uno sfondamento definitivo di area 1.09/1.10 creerebbe tensione sul mercato delle valute con l’euro che a quel punto dovrebbe dimostrare di che pasta è fatto. E per il continente europeo l’inflazione salirebbe ancora più in alto creando problemi aggiuntivi.
Nelle stanze dell’Eurotower di Francoforte si aggirano dei falchi e così la BCE decide di mostrare al mercato la faccia di chi è fermamente orientato a frenare l’aumento dell’inflazione. Nel meeting di politica monetaria di marzo Madame Lagarde ha indicato un termine preciso per la fine del QE.
Nel terzo trimestre gli acquisti di titoli (e quindi la liquidità fornita al mercato) termineranno. La BCE ha rivisto le stime di crescita a causa della guerra in Ucraina. Il Pil previsto per il 2022 passa dal 4,2% al 3,7% per scendere ancora al 2,8% nel 2023.
Sui tassi di interesse rimane incertezza anche se i mercati sembrano aver preso una decisione precisa con un corposo rialzo dei rendimenti sia sulle scadenze lunghe che brevi. Un aumento del costo del denaro prima della fine dell’anno in corso non è da escludere.
L’inflazione morde in Europa come negli Stati Uniti. La variazione dei prezzi al consumo ha sfiorato a febbraio l’8%, un record che il Presidente Biden e la FED cercheranno di sconfiggere con una serie di aumenti nei tassi di interesse. Difficile che a breve si riuscirà nell’intento complice anche il boom nei prezzi di tutte le commodity causato dalla guerra tra Ucraina e Russia. Le curve dei rendimenti hanno preso subito atto della cosa con il decennale americano tornato al 2%.
Rimane comunque l’Europa il cuore del problema. Il rallentamento economico sarà inevitabile con l’impatto dei prezzi energetici e alimentari che si fa già sentire su imprese e consumatori. Gli stati del Vecchio Continente saranno poi costretti ad aumentare il budget per la difesa sui timori che la Russia possa rappresentare un pericolo non solo di eccessiva dipendenza energetica, ma anche di instabilità geopolitica.
L’euro sulla notizia di una BCE più hawkins ha messo a segno un vigoroso rimbalzo fino a 1,11 prima di ripiegare.
Da manuale il test del supporto che lega i minimi dell’euro del 2017 e del 2020. A 1,08 passava la up trend line e proprio su questo livello la moneta unica europea ha rimbalzato.
Nonostante il vistoso ipervenduto su scala settimanale non ci sono ancora sufficienti indizi per ragionare su una inversione di tendenza. Qualora il rimbalzo dovesse prendere corpo per il biglietto verde non si vedono rischi almeno fino alla tenuta della media mobile di riferimento ora in transito a 1,14.
Per misurare la forza di una tendenza l’indicatore più affidabile si è rivelato nel tempo l’ADX. Quando l’indicatore supera quota 30 allora la tendenza in corso si sta rafforzando. Per quello che riguarda EurUsd a dire il vero il superamento di 30 determina solitamente un rallentamento nella corsa. Nell’ultimo anno i tre casi precedenti quello attuale hanno anticipato la formazione di un bottom primario con rimbalzo verso la media mobile a 200 giorni.
Anche questa volta sembra andare in questa maniera e quindi la strategia da adottare è quella di attendere il test della media (ancora non arrivato) e poi entrare short in occasione del primo minimo più basso di quello precedente. Come sempre trend is your friend. Ancora una volta il livello di 1.14 rappresenta il prezzo oltre al quale stoppare un trade short.
La guerra tra Russia e Ucraina non si ferma con le sanzioni che il mondo occidentale ha deciso di applicare stanno portando velocemente il debito russo verso il default. Un collasso che coinvolgerà anche il sistema bancario dopo l’esclusione di alcune banche dai circuiti Swift. Le sanzioni eserciteranno i loro malefici effetti sull’economia russa nel medio periodo, ma intanto c’è da gestire una fiammata dei prezzi delle materie prime e il rischio di una guerra mondiale.
Il petrolio ha sfondato ampiamente i 100 dollari al barile. I prezzi di mais e frumento volano considerando che Russia e Ucraina fanno un terzo della produzione mondiale.
Il rischio più grosso lo corre l’Europa essendo un importatore netto di energia ma anche di derrate alimentari proprio dai paesi confinanti a est. Con la banca centrale europea che ha le mani legate per non strozzare l’economia, la valuta sta perdendo rapidamente valore come le borse del Vecchio Continente in caduta libera.
L’Eurozona ha esportato nel 2020 per 90 miliardi di dollari in Russia e come abbiamo letto da tante parti il 40% del gas arriva dalla Russia e il 26% del petrolio pure. I problemi economici che dovrà affrontare la parte ovest del continente sono evidenti a tutti e i mercati non sembrano mostrare grandi incertezze sulle strategie da prendere. Vendere Europa e vendere euro.
Gli Stati Uniti si trovano in una condizione diversa e per questo la FED, pur con propositi meno hawkins, interverrà sui tassi a marzo con un rialzo di 25 punti base. Stando alle curve dei rendimenti i rialzi saranno cinque in tutto nel 2022 e questo non può che andare a beneficio del biglietto verde percepito anche come porto sicuro in questi momenti di tensione. Ma cosa potrebbe succedere ai paesi emergenti più poveri in un momento in cui i prezzi delle materie prime salgono, il dollaro pure e i tassi di interesse anche?
EurUsd ha sfruttato l’occasione favorevole che il mercato gli ha offerto a inizio anno per rilanciare l’azione. Con un doppio massimo a 1.15 contestuale al test della media mobile che già aveva respinto l’assalto nel 2021, il cambio ha formalizzato una figura di inversione che a questo punto potrebbe avere come obiettivo quello di area 1.06/1.07, ovvero i minimi del 2020 registrati in occasione dello scoppio della pandemia. Il cedimento di 1.10 è la conferma formale del movimento previsto per le prossime settimane.
Per il dollaro non ci sono dubbi. L’occasione che si sta presentando è incredibilmente ghiotta per piazzare una di quelle zampate che metterebbe alle spalle un bear market pluridecennale.
Prendendo come punto di partenza i prezzi di inizio secolo, nel corso del precedente decennio il Dollar Index ha tentato di superare in diverse occasioni quota 100, ma senza successo.
I supporti di area 90 a loro volta hanno svolto un egregio lavoro di supporto e anche nel 2021 questa zona di prezzo è servita da trampolino di lancio per puntare diretta quella down trend line che ora sta per cedere sotto i colpi dei compratori di dollaro.