La guerra dei dazi contro Messico e Canada è durata 24 ore. Il tempo di annunciarla e di permettere ai due stati di aprire delle trattative finalizzate ad aumentare la sicurezza e il controllo delle frontiere con il dispiegamento di migliaia di unità di soldati al confine.
E così Trump ha deciso di sospendere i dazi verso i due paesi confinanti, dazi misurabili nel 25% per tutte le merci di importazione fatta eccezione per i prodotti energetici in arrivo dal Canada e tassati al 10%.
Tutto rinviato in attesa di capire cosa riuscirà ad ottenere Marco Rubio nelle trattative con i due stati entra l’inizio di marzo.
Rimangono i dazi sulla Cina al 10%, Cina che ha prontamente risposto con misure protezionistiche contro carbone e gas naturale.
Nel mezzo l’Europa che, tentennante, cerca di far approvare una legge di bilancio in Francia e di andare verso le elezioni politiche tedesche con la speranza che l’estrema destra non faccia il colpaccio.
La FED per il momento sta ai margini ma è ovvio che tutte queste misure annunciate da Trump potrebbero avere impatti notevoli sull’inflazione, ma anche su fiducia reciproca degli stati esteri nel finanziare l’imponente debito americano in futuro. Difficile assistere ad un taglio dei tassi in queste condizioni che perché il mercato del lavoro si è confermato ancora tonico con il tasso di disoccupazione calato al 4%.
Taglio dei tassi che invece arriverà per certo in Eurolandia dove l’economia ristagna e l’inflazione, seppur dopo aver arrestato il suo calo, non sembra impensierire per ora. Il mercato stima un costo del denaro entro la fine del 2025 tra 1,5% e 2%.
BCE che però deve anche guardare con attenzione l’euro perché mosse troppo dovish potrebbero colpire ancora più duramente una moneta unica sempre più all’attacco dei supporti di 1,02. E l’euro debole importa ovviamente inflazione.
Confermata dunque la valenza dei supporti di 1,02 che ribadiamo sono l’ultimo scoglio prima di scendere sotto la parità. Da manuale dell’analisi tecnica la reazione dell’euro seppur in una giornata nera come quella del lunedì post dazi. Allo stesso tempo innegabile quanto ogni tentativo di risalita risulterà vano fino a quando le solide resistenze di 1,05-1,06 conterranno le ambizioni della moneta unica europea. Quello è il crocevia per assistere ad una maggiore debolezza del dollaro americano.
La chiusura del mese di gennaio intanto ha confermato i segnali bearish di lungo periodo con il Macd di EurUsd che, toccata la linea dello zero, ha invertito rotta ripuntando verso il basso e tagliando dall’alto verso il basso la linea del segnale.
Per ora, se rimbalzo sarà dell’euro, non dovremmo assistere a nulla di più di un movimento di pull back sulle resistenze prima di nuovi minimi. Inversione confermata solo sopra 1,05-1,06.
Le affermazioni di fuoco di Trump dopo la decisione della Federal Reserve di mantenere i tassi invariati non scompongono un Powell che ha dichiarato che il lavoro non è ancora terminato. Comunicando l’intenzione di non muovere il costo del denaro e rimuovendo i riferimenti al tasso di inflazione che sta convergendo verso l’obiettivo 2%, il capo della FED ha indicato nell’inflazione ancora troppo alta e nella disoccupazione molto bassa con settori che faticano a reperire manodopera (vedi costruzioni), due motivi che hanno spinto il FOMC a mantenere invariato il costo del denaro.
E tale rimarrà molto probabilmente fino all’estate in attesa di avere un quadro più chiaro anche delle politiche di Trump con i dazi che potrebbe causare un ispessimento delle aspettative inflazionistiche. Da inizio febbraio su Canada, Messico e Cina dazi già operativi.
Dall’altro lato dell’Atlantico la BCE si è mossa come da attese tagliando i tassi di 25 punti base.
Lagarde, commentando un costo del denaro che torna al 2,75%, ha confermato che le prossime mosse saranno dipendenti dai dati di inflazione. Se questa continuerà, come da previsioni, a convergere verso il 2% allora la BCE non avrà problemi a riportare i tassi di interesse in territorio neutrale.
Intanto la Germania conferma la recessione economica nel quarto trimestre con numeri peggiori delle aspettative, non certamente un messaggio positivo alla vigilia delle più importanti elezioni in terra europea del 2025. L’Italia ha riportato un tasso di crescita nullo, la Francia è arretrata dello 0,1%.
Il movimento di rimbalzo verso 1,05 si è completato come da attese con un ritorno del ribasso sul cambio EurUsd. Avevamo indicato proprio nella fascia di resistenza 1,05/1,06 un livello tecnico sul quale l’euro avrebbe faticato ad andare oltre e così è stato.
Il mercato ha trovato nella media mobile a 50 giorni una valida resistenza capace di respingere l’euro e ora sarà interessante verificare se il dollaro avrà le capacità, smaltito un po’ di quell’eccessivo ottimismo che fino alla metà di gennaio lo aveva accompagnato, di puntare verso la parità. Ovviamente area 1,02 rappresenta il punto tecnico di supporto più cruciale.
Le bande di Bollinger esprimono chiaramente che il mercato si è rifiutato di spingere l’euro oltre le prime resistenze.
Da quando è ricominciato il ribasso dell’euro la parete superiore delle bande ha fatto da tappo ad ogni iniziativa bullish di EurUsd; anche questa volta è andata così.
Adesso lo scenario potrebbe essere quello di una fase laterale che comprima la volatilità e vede in 1,02 la base inferiore del range, oppure un naturale proseguimento del trend bearish forzando i supporti. Evidente come il superamento di 1,06 sancirebbe la fine del bull market del dollaro, almeno nel breve periodo.
L’insediamento di Trump non ha mancato di fornire spunti al mercato valutario con il recupero di molte divise contro dollaro alimentato dalle speculazioni circa la scarsa retorica del tycoon durante il discorso inaugurale sul tema dazi. Sono bastate però poche ore prima che il tycoon scaricasse la sua ira contro praticamente tutti i partner commerciali.
I richiami ai dazi su Canada e Messico al 25% erano noti, così come la volontà di forzare la mano all’Europa sull’acquisto di gas e petrolio americano. Ma proprio verso l’Europa Trump si è rivolto direttamente minacciando dazi se non ci saranno adeguate misure per ridurre il deficit commerciale. La trattativa probabilmente si sposterà adesso sulle spese militari.
In assenza della FED e di Powell il mercato azionario si gode trimestrali positive e soprattutto il lancio del piano Stargate che spingerebbe ancora di più gli investimenti nell’intelligenza artificiale alimentando ulteriore speculazione su tutto il mondo tech.
I tassi obbligazionari, nel frattempo, rimangono sopra al 4,5% sulle scadenze decennali americane, segno che il mercato non crede ad una FED pronta a tagliare i tassi in un contesto di crescita che rischia di diventare bollente andando a colpire direttamente quell’inflazione che a fatica è stata domata.
Powell avrà il suo bel da fare nel cercare di contenere il desiderio di Trump di abbassare il costo del denaro, ma è evidente che in queste condizioni sarebbe come gettare benzina sul fuoco dell’inflazione. Fino a quando il mercato del lavoro non mostrerà segnali di debolezza difficile pensare a una inversione di tendenza anche per il dollaro, finora avvantaggiato da copiosi flussi in ingresso e da un differenziale tassi favorevole.
L’Europa intanto naviga a vista tra certi tagli nei tassi di interesse e incerta crescita economica con l’appuntamento elettorale tedesco di febbraio vero market mover di questa prima parte del 2025.
La picconata di Trump anche all’Europa con minaccia di dazi a causa dell’imponente deficit commerciale USA vs la UE, combinato ad una realistica Lagarde che sta cominciando a mettere i punti sulle i circa i prossimi tagli dei tassi, ha permesso all’euro di recuperare terreno sul dollaro.
Un recupero non arrivato a caso visto che si è palesato esattamente su quella zona di supporto di 1,02 che avevamo indicato come ultima spiaggia per la moneta unica.
Un primo segnale che comunque non cambia le tendenze dominanti. Di breve, medio e lungo termine.
L’euro dovrà recuperare 1,05 prima (già fatto) e 1,06 poi per battere un colpo che comincerebbe ad essere assordante per il biglietto verde di cui a quel punto avremmo probabilmente visto il bottom definitivo. La stagionalità e l’assenza di spunti dalla FED rimangono comunque fattori che dovrebbero richiamare denaro sul biglietto verde nelle prossime settimane in attesa di assistere ad un sentiment ancora più surriscaldato.
E questa età dell’oro gli Stati Uniti la stanno vivendo in una condizione molto particolare con il dollaro che si rafforza e l’oro anche.
Una divergenza anomala con il metallo giallo che nonostante tassi reali positivi continua a salire in un contesto di sentiment molto benigno anche nei confronti del dollaro americano.
Possibile che il gap nelle prossime settimane tenda a chiudersi con un dollaro più debole e con l’oro che dovrebbe continuare a muoversi in un contesto laterale a ridosso dei massimi storici.
Gli accordi di pace in Medio Oriente e i dati di inflazione migliori delle stime accolgono l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump che affronterà fin da subito alcune questioni critiche come la guerra in Ucraina e il tema dazi commerciali.
Proprio sull’onda delle notizie su possibili mosse protezionistiche il mercato forex continua ad essere molto volatile. Per quello che riguarda EurUsd il focus della settimana scorsa era sul dato di inflazione americana.
I prezzi al consumo hanno accelerato al 2.9% rispetto al 2.7% di novembre in linea con le attese. Il dato core (3.3%) è invece cresciuto meno delle previsioni ed è stato questo che ha spinto le prese di profitto sul dollaro con la contestuale ripresa dei bond e del mercato azionario soprattutto tecnologico.
Il giorno precedente anche dai prezzi alla produzione erano arrivate conferme del rallentamento. Seppur sopra al 3% i dati headline e core dei prezzi alla produzione sono risultati sotto le attese con aumenti rispettivamente del 3,3% e 3,5%.
Alcuni dati anticipatori, come ad esempio il New York Empire, hanno fatto segnare numeri non particolarmente positivi e questo ha spinto gli operatori a prevedere un approccio meno rigido sui tassi da parte della FED nei prossimi mesi con il prossimo taglio che prima del dato sull’inflazione era previsto a settembre mentre ora si è spostato a luglio.
In Europa la politica di taglio dei tassi dovrebbe proseguire anche se il punto terminale secondo i mercati sarà il 2% rispetto al 1,5% stimato a dicembre.
L’economia tedesca andrà in recessione per il secondo anno consecutivo nel 2024 con una riduzione del Pil dello 0,2% che segue il -0,3% del 2023.
Tecnicamente dopo il break di 1,08 prima e 1,05 poi abbiamo indicato la parità con l’euro il passaggio quasi obbligato di una discesa che comunque avrebbe visto lo zero come primo numero dell’obiettivo terminale di questo movimento.
La moneta unica si aggrappa disperatamente all’ultimo supporto tecnico prima di questo scenario con il dato dell’inflazione che rimanda l’appuntamento con la parità.
Il livello è quello di 1,02 rappresentativo del 61,8% di ritracciamento dell’intero rialzo cominciato nel 2022 a 0,953 e terminato a 1,128.
Solo un rapido ritorno sopra 1,045/1,05 farebbe scattare una formale trappola per orsi alla quale in questo momento diamo poco credito.
Il grafico di lungo periodo di EurUsd non sembra comunque lasciare molti dubbi circa la formalizzazione di un doppio massimo da parte del cambio avvenuto nel corso del 2023.
L’obiettivo teorico di figura va posizionato attorno a 0,97/0,98, con il ritorno sopra 1,05 che rimetterebbe in discussione tutta la struttura tecnica.
Per il momento ogni pull back su questa resistenza è da considerare come buono per rinforzare le posizioni lunghe di dollari, ovviamente posizionando un rigoroso stop qualche pips sopra 1,075, al momento il livello da considerare come linea nella sabbia per la tenuta del bear market.
Settimana densa di appuntamenti quella appena conclusa con il momento di Trump che sta per arrivare. Il 20 gennaio il tycoon per la seconda volta si insedierà alla Casa Bianca e da quel momento in avanti tutte le congetture sul tema dazi cominceranno a trasformarsi in notizie vere.
L’ultimo rumor è stato smentito dallo stesso Trump negando l’idea di dazi universali ma mirati solo su certi prodotti. Poche ore e la CNN ha paventato il ricorso all’emergenza nazionale per permettere al Presidente di attivare una serie di misure protezionistiche verso le importazioni dall’estero.
Il dollaro ha ripreso così forza con i tassi sui Treasury decennali tornati a ridosso del 5%.
A dare vigore al rialzo dei tassi e del dollaro i dati di dicembre sulla creazione di nuovi posti di lavoro in America, abbondantemente oltre le 200 mila unità e soprattutto le previsioni degli analisti. Sullo sfondo tutti da valutare gli impatti degli incendi che hanno colpito la California negli ultimi giorni.
L’Ism servizi ha confermato il buon momento del settore servizi con una crescita sopra quota 54 nella versione composite. Sorprendente il balzo soprattutto della componente prezzi. Si era già notato nell’altro Ism, quello manifatturiero, ma la portata dell’incremento nei servizi è stata notevole e la più forte da febbraio 2023. Un segnale che l’inflazione sta riaccelerando.
La stabilità politica americana, combinata con un’economia pimpante, è in contrasto non solo con l’instabilità europea (Francia e Germania), ma anche con quella dei vicini di casa canadesi dopo le dimissioni del premier Trudeau.
Intanto in Europa l’inflazione risale come da attese al 2.4% nella versione headline e 2.7% in quella core. Germania e Spagna accelerano, mentre Francia e Italia rimangono abbondantemente sotto al 2%. In risalita anche l’inflazione servizi al 4%. Il mercato swap per il momento mantiene le sue stime di taglio da 100 punti base nei prossimi 12 mesi considerando i dati macro molto deboli arrivati dalla Germania con gli ordini di fabbrica in calo del 5.4%.
EurUsd prosegue così nella sua marcia ormai sempre più probabile verso la parità.
La moneta unica europea fatica a trovare una base in un ribasso che tecnicamente ha obiettivi ben più ambiziosi e che vanno sotto la parità.
Vedremo se l’andamento assumerà contorni simili alla prima era Trump quando, dopo una prima gamba rialzista dell’euro post elezioni, il biglietto verde fu oggetto di prese di profitto proprio a ridosso dell’insediamento ufficiale.
Per il momento annotiamo tecnicamente una variazione negativa di EurUsd inferiore al -5% e questo, nei due casi precedenti del 2018 e del 2021, è stato un segnale bearish per EurUsd con ulteriori affondi seguiti nelle settimane successive.
La conferma tecnica di un momento favorevole al dollaro destinato a proseguire arriva dal Dollar Index. Con il doppio minimo formalizzato a dicembre per la valuta americana si prospetta un obiettivo rialzista che si dovrebbe posizionare almeno un 4-5% più in alto dei livelli attuali. Questo sembrerebbe compatibile con un EurUsd in zona 0.97/0.98, in linea con le previsioni offerte dall’analisi tecnica.
Con lo stop delle forniture di gas dalla Russia attraverso il territorio ucraino, si inaspriscono le tensioni sulla materia prima essenziale per il periodo invernale almeno per parte dell’Europa dell’Est. Oltre alle tensioni sui prezzi le conseguenze si vedono anche su EurUsd che vanta una correlazione inversa con l’andamento del prezzo del gas naturale quotato ad Amsterdam. Ne parliamo più avanti.
Intanto continuano a rimanere ampi gli spread di tasso di Stati Uniti e Gran Bretagna rispetto all’euro. Rinvigorite dalla conferma che il costo del denaro nei due paesi per un po’ non verrà abbassato, dollaro americano e sterlina inglese continuano ad avere il vento in poppa mettendo sotto pressione un malandato euro.
Solo i primi dati di gennaio su inflazione e crescita potrebbero allentare la morsa sull’euro qualora emergessero segnali di rallentamento economico soprattutto negli Stati Uniti.
Per il momento gli indicatori Pmi europei hanno confermato a fine 2024 un ulteriore rallentamento rispetto ai livelli già depressi di novembre. Numeri di cui dovranno tenere conto a Francoforte nel meeting di fine gennaio dove dovrebbe essere deciso un nuovo taglio nei tassi.
Stati Uniti che, in attesa del passaggio di consegna formale alla Casa Bianca, guardano invece ai recenti dati che sembrano anticipare una congiuntura economica ancora solida nonostante la delusione arrivata dalla FED circa la prudenza su futuri tagli nei tassi.
Dati di crescita che fanno rimanere in allerta Powell circa gli impatti su prezzi al consumo e stipendi. Ma non abbiamo dubbi che Trump potrebbe far sentire la sua voce dopo i primi indicatori di rallentamento economico che emergeranno nel corso del 2025.
Il finale di 2024 ha riservato al cambio EurUsd solo un modesto rimbalzo che ha confermato la valenza del livello compreso tra 1,04 e 1,05 come resistenza principale ed ostacolo ad una ripresa dell’euro. EurUsd che quindi si mantiene al di sotto di quella fascia di supporto che a lungo ha favorito il rimbalzo del cambio per tutto il 2023 e buona parte del 2024.
Al momento la strategia da preferire rimane quella short con un ritorno sopra la media mobile a 50 giorni di 1,065 a fare da primo campanello di allarme per la tenuta della forza del dollaro.
Torna d’attualità il prezzo del gas dopo che la Russia ha chiuso i rubinetti dei gasdotti in transito sul territorio ucraino.
I prezzi del gas sono risaliti sopra quota 50 €, non lontani dai massimi di ottobre 2023.
E l’analogia grafica con EurUsd conferma che proprio il cambio aveva anticipato questa fase risalendo sopra i massimi dello stesso periodo del 2023.
Se il break rialzista dell’euro fosse confermato (e al momento non abbiamo elementi per negare la cosa), anche per il prezzo del gas naturale sarebbe solo questione di giorni prima di abbattere la resistenza di quota 56 €. Il problema per il Vecchio Continente è che a quel punto sarebbe formalizzato un doppio minimo con impatti decisamente importanti sull’evoluzione del prezzo del gas (e quindi dell’inflazione) per i prossimi mesi con la costretta a stoppare i tagli nei tassi per evitare un tracollo della moneta unica.
Il 2025 si presenta come al solito con elementi di certezza e di incertezza.
La certezza è legata all’elezione di un Presidente americano come Trump con una solida maggioranza alle spalle e che probabilmente in questo suo secondo mandato cercherà di mettere in campo molte delle misure promesse in campagna elettorale su immigrazione, dazi commerciale e taglio delle tasse.
Il mercato ha preso atto di questo con un rally di borsa poderoso nel 2024 e che ancora una volta ha messo lo S&P500 davanti a tutti.
Allo stesso tempo il mercato obbligazionario ha visto salire di nuovo i propri rendimenti oltre il 4,5% di scadenza decennale sulla certezza che il taglio di dicembre è stato probabilmente l’ultimo, almeno fino a primavera inoltrata.
E proprio il differenziale di crescita e il differenziale di rendimento sono stati gli elementi che hanno spinto il dollaro a chiudere l’anno sui massimi. Il 2024 contro euro era cominciato sopra 1,10 e andrà in archivio sotto 1,05. Un guadagno in conto valutario che si somma a quello in conto interesse che porta a quasi il 10% il ritorno per l’investitore europeo che ha scelto il biglietto verde come valuta preferita di investimento.
Ma il 2025 si apre anche all’insegna dell’incertezza su diversi fronti.
Quello bellico, con la guerra in Medio Oriente e quella tra Ucraina e Russia a mantenere alta la tensione.
Incertezza politica in Europa dove Germania e Francia saranno chiamate a cercare una stabilità smarrita, uno scenario che mette a rischio l’intero percorso europeo di integrazione e già incorporato nella debolezza dell’euro.
Incertezza cinese sia sul fronte militare (vedi Taiwan) che economico con la deflazione che sta attanagliando un paese incapace di ritrovare la via della crescita dopo lo sboom del mercato immobiliare e nonostante i ripetuti tagli nei tassi.
Naturalmente in tutto questo si inserisce un mondo valutario dove siamo sicuri anche il 2025 non smetterà di regalare opportunità ai trader che sapranno leggere con attenzione i messaggi dell’analisi tecnica.
L’euro sta cercando in tutti i modi di non scivolare ancora più in basso contro dollaro, ma obiettivamente la sterile reazione fino ad ora abbozzata non sembra lasciare molte speranze per un cambio di tendenza nell’immediato. Il primo aspetto tecnico che balza agli occhi è la netta divergenza che si sta creando tra prezzi in ribasso e Rsi sempre in ipervenduto ma con minimi crescenti. Sono ben tre i minimi crescenti dell’oscillatore e solitamente in questi casi il rimbalzo dovrebbe prendere corpo nel giro di qualche seduta al massimo.
Quello che però più spaventa gli investitori posizionati sul lato short di dollaro americano sono le tre candele mensili che si stanno materializzando e che manderanno in archivio l’ultimo trimestre del 2024.
Gli amanti delle candele giapponesi riconosceranno un pattern noto come i tre corvi neri, solitamente anticipatore di nuovi cali nei mesi a venire per il cambio in oggetto.
Il 2025 sarà un bel banco di prova per l’euro, su questo non ci sono dubbi.
Alla fine, la visione hawkins della FED ha prevalso. E i mercati non l’hanno certa presa bene. Powell ha confermato il taglio di 25 punti base nei tassi di interesse americani. Un taglio dal sapore agrodolce visto che potrebbe essere l’ultimo fino alla prossima estate. Lo confermano i mercati che hanno spostato le attese di nuove mosse da luglio 2025 in avanti. Lo conferma la FED che ha indicato in due al massimo le manovre di riduzione dei tassi l’anno prossimo. E lo confermano i Dot Plots che hanno indicato tassi al 3,125% solo nel 2027.
Troppo vigorosa l’economia oggi, il GDP Now della FED di Atlanta stima in 3,1% il tasso di crescita dell’economia. Le vendite al dettaglio di novembre sono salite ben oltre le attese dello 0,7%. Troppo forte ancora il mercato del lavoro. E troppo alta l’inflazione prevista al 2% solo a partire dal 2026.
La FED reclama la sua indipendenza e con un Trump prossimo presidente con rischio dazi e surriscaldamento dell’economia in vista, non è un mistero che Powell voglia vederci chiaro prima di prendere mosse avventate.
Che questo scenario possa ispessire i tassi reali e di conseguenza rallentare la crescita la FED ne è pienamente consapevole. Così come per il momento la forza del dollaro non sembra essere un grosso problema. Ma inevitabilmente Trump prima o poi farà sentire la sua opinione e altre banche centrali, come quella europea, potrebbero subire gli effetti del dollaro forte rinunciando a manovre più incisive di taglio nei tassi di interesse nel tentativo di supportare la valuta nazionale importatrice netta di inflazione.
BCE dalla quale il mercato si continua ad aspettare una riduzione nei tassi fino al 1,75% nei prossimi 12 mesi, situazione che naturalmente non fa bene all’euro sempre più vicino alla parità con il dollaro.
Con il break sembra ormai definitivo di 1,05 per EurUsd si aprono le porte di un nuovo allungo almeno fino a 1,02 (61.8% di ritracciamento del rialzo precedente), in quello che appare un supporto temporaneo prima di scendere al di sotto della parità. Il lungo trading range che ha accompagnato il cambio è stato messo in archivio con l’annuncio della FED che i tassi smetteranno di scendere per un po’ di tempo. E visto che la BCE sarà costretta invece a diminuire il costo del denaro, la convenienza relativa del dollaro si è tramutata in un fiume di acquisti che hanno spezzato per ora i tentativi di tenuta dell’euro. Solo un ritorno immediato sopra 1,05 potrebbe rappresentare un segnale di trappola per orsi.
Dopo la riunione della FED il denaro è fluito copioso sul dollaro americano di fatto formalizzando quel break rialzista sul quale il biglietto verde (qui sotto rappresentato dal Dollar Index) ha indugiato per qualche settimana.
Se il dollaro riuscirà ad allontanarsi definitivamente dai massimi del 2023 ci troveremo di fronte ad un doppio minimo in grado di proiettare il dollaro più su di almeno il 5-6% creando non poche scosse telluriche di assestamento, ad esempio, nel mondo emergente da sempre sensibile alla forza del dollaro.
Per il secondo mese consecutivo l’inflazione americana sale. Con il +2.7% di incremento nei prezzi al consumo registrati a novembre (dopo il 2.6% di ottobre) l’effetto deflazionistico dei prezzi energetici è stato compensato da quelli inflazionistico di alimentari, casa e trasporti. Anche il dato core si mantiene stabilmente sopra la 3% (3.3%) e questa è un’indicazione preziosa in vista del meeting di fine anno della Federal Reserve. Sarà taglio nei tassi da 25 punti base, ma probabilmente una lunga sosta nella revisione della politica monetaria ci attende per la prima parte del 2025.
Questo spiega il persistere dei rendimenti sui Treasury americani sopra al 4% sulle scadenze lunghe, ma anche la forza del Dollaro che non arretra di un metro dopo i corposi guadagni delle ultime settimane.
In Europa intanto la Francia continua a mantenere l’euro sotto pressione con la BCE che intanto conferma il taglio dei tassi ampiamente scontato da 25 punti base. Il mercato si attende almeno altri 125 punti base di riduzione nel costo del denaro nei prossimi 12 mesi.
Poche le notizie macro arrivate in settimane ma gli spread tra Parigi e il resto d’Europa in tensione.
Il mercato in termini di differenziale di tasso rispetto alla Germania sta anticipando un merito di credito decisamente peggiore per la Francia, antipasto a ulteriori downgrade da parte delle agenzie se non si trovasse a breve una soluzione politica alla crisi. Vedremo se il nuovo Governo incaricato da Macron avrà successo.
Crisi che comunque non abbandona nemmeno la stessa Germania con le elezioni anticipate previste per fine febbraio che rappresentano l’ennesima incognita per un continente europeo alle prese con guerre ai confini e cambiamenti economico – sociali notevoli.
Tornando alla decisione della BCE la riduzione del costo del denaro non sarà l’ultima anche perché Francoforte è confidente nel rientro del tasso core sotto al 2% nel 2026. Nel comunicato a margine della decisione è scomparso l’impegno a mantenere la politica monetaria a un livello sufficientemente restrittivo e questo tanto è bastato ai mercati per captare la voglio di tagliare ancora.
Per il momento EurUsd galleggia su 1.05. Abbiamo già spiegato quanto è fondamentale questo livello per il futuro del cambio più importante del pianeta e lo si comprende anche dai numerosi tentativi degli ultimi anni andati a vuoto di perforazione verso il basso.
Gli oscillatori RSI, ad esempio, con le divergenze in territorio di ipervenduto avevano segnalato la possibilità di un rimbalzo poi concretizzato. Il problema per l’euro è che lo stesso indicatore non è riuscito a scalfire le prime linee di resistenza. Il che lascia per il momento poche speranze ad una reazione più vigorosa dell’euro.
Alla vigilia del meeting della Federal Reserve non si può non notare la stretta correlazione che persiste tra la forza del dollaro americano e la debolezza del mercato obbligazionario che altro non significa che tassi di interesse in crescita soprattutto sul segmento più lungo della curva dei rendimenti.
Il consolidamento del rendimento sui T-Note decennali Usa sopra il 4% ha a sua volta permesso al Dollar Index di consolidare i recenti guadagni e difficilmente assisteremo ad un dietro front del biglietto verde se non si ci sarà analoga manovra sui tassi.
Le parole di Powell, le ultime pubbliche prima del FOMC di fine 2024, risuonano come anticipatrici di quello che accadrà ai tassi di interesse americani nel 2025, quanto meno nella prima parte dell’anno.
Ovvero smetteranno di scendere perché come ha detto Powell stesso l’economia sta andando meglio delle previsioni e tutto questo nonostante una politica monetaria restrittiva.
Se dalle parti di Washington si stanno chiedendo cosa non ha funzionato nella gestione della politica monetaria oppure se il new normal dell’inflazione è il 3%, non ci è dato saperlo.
Di certo il mercato valutario ha già preso atto di questa tendenza con il rafforzamento del dollaro soprattutto contro euro.
Il consueto atteso dato sulla disoccupazione americana ha confermato un mercato del lavoro tonico con nuove buste paga superiori alle aspettative.
Andando in Europa è la crisi della politica francese ad occupare il campo.
La caduta dopo appena tre mesi del Governo Barnier riapre la crisi della seconda economia europea. L’aspetto più preoccupante è che questa crisi arriva prima di aver approvato la legge di bilancio per il 2025 costringendo la seconda economia europea a gestire questa delicata fase dell’anno in emergenza. Macron tenterà a questo punto di formare un nuovo Governo per evitare le elezioni.
Lo spread degli Oat verso i titoli di stato tedeschi raggiunge i 90 punti base. La differenza di rendimento verso i titoli di stato italiani è inferiore ai 40 punti base. Non crediamo ad una nuova crisi nell’Eurozona, ma naturalmente le incertezze francesi e soprattutto le fosche prospettive pesano sulle decisioni politiche ed economiche dell’intero continente.
Zavorrando l’euro a sua volta già colpito da una crisi economica tedesca molto profonda, paese che andrà al voto a febbraio.
Il mercato stima in 175 punti base l’entità del taglio nel costo del denaro dei prossimi 12 mesi da parte della BCE e questo, in parallelo a una FED che si fermerà, non può che provocare un ulteriore indebolimento dell’euro.
La tesi del doppio massimo su EurUsd rimane valida ma non ancora formalizzata in pieno.
Come si vede dal grafico il doppio massimo in area 1,12 necessita di un break definitivo di 1,05 per puntare con decisione alla discesa sotto la parità.
L’assenza di un segnale di rottura definitivo fa rimanere aperta l’ipotesi di un prolungato trading range. Come vedremo tra poco sarà decisiva la chiusura del mese di dicembre.
EurUsd non ha mai chiuso sotto 1,055 il mese dall’inizio del 2023.
Come si vede dal grafico questo livello diventa quindi decisivo anche in termini prospettici.
Un break del supporto, come ormai abbiamo capito decisivo per le sorti future della moneta unica, porrebbe fine ad una lateralità con implicazioni bearish per un cambio EurUsd destinato nel 2025 a scendere sotto la parità anche per effetto di una divergente politica monetaria e crescita economica. La chiusura di dicembre sarà quindi fondamentale.