Il 2022 è finito nel solco delle ultime settimane dell’anno. I tassi di interesse a lunga scadenza sono risaliti, i mercati azionari hanno ritracciato e il dollaro si è indebolito. La causa è da ricercare nel minor ottimismo dei mercati circa una FED che comincia a ridurre il costo del denaro nel 2023 a causa della recessione. Fino a quando l’inflazione non sarà vinta questa ipotesi è da escludere hanno fatto trapelare i vertici FED. E non va meglio in Europa. Nonostante i pesanti ribassi nei prezzi di petrolio e gas naturale grazie all’introduzione del tetto al prezzo del gas, la BCE si mantiene cauta assicurando che le strette sui tassi proseguiranno fino a quando l’inflazione non mostrerà segnali di ripiegamento. Anche in questo caso il rapido innalzamento della curva dei rendimenti europei è una dimostrazione di come il mercato teme che il 2023 non sarà l’anno di un nuovo easing monetario. Infine c’è il Giappone che probabilmente consegnerà alla storia il primo rialzo dei tassi dalla fine della crisi del 2008, sempre a causa dell’inflazione.
Tra i pochi dati pubblicati nell’ultima settimana del 2022 spicca quello sulle vendite di case americane. Sceso del 4% a novembre contro attese di un rialzo dello 0.6%, questo numero segnala chiaramente che l’aumento dei tassi sta incidendo decisamente sul mercato immobiliare a stelle e strisce. Il ribasso annuo tocca così la doppia cifra a -38%. Un problema in più da gestire per la FED.
Il differenziale tassi in restringimento tra America e zona Euro sta offrendo benefici all’euro, ma un altro importante supporto arriva dal prezzo del gas quotato in Olanda. Il TTF natural gas ad Amsterdam ha fatto registrare calo evidente che sta andando avanti da settimane e che ha trovato la sua spinta decisiva nell’accordo raggiunto in UE sul price cap da fissare sugli acquisti a partire da marzo 2023.
Il legame con l’euro era già stretto prima della partenza del conflitto in Ucraina come si può apprezzare dal grafico. Un legame che non si è mai spezzato e che ha rinvigorito l’euro negli ultimi tempi.
Anzi a dirla tutta sotto questo punto di vista l’euro appare in ritardo nel suo processo di recupero.
Un secondo spunto tecnico che ci sentamo di portare in questo inizio di 2023 è legato al cosiddetto indicatore price oscillator. Espressione della differenza percentuale tra prezzo spot e media mobile a 200 giorni, il price oscillator permette di intercettare soprattutto i segnali di eccesso rialzista o ribassista su EurUsd.
Il disegno grafico fornisce alcune utili informazioni su quando EurUsd comincerà a lavorare per la formazione di un top primario. Nel 2017 e nel 2020 questo scenario si realizzò solamente con un price oscillator superiore al 5%. Livello comunque non sufficiente per formulare la previsione di inversione della tendenza. Per quello serve una divergenza tra indicatore e prezzo.
Al momento non ci siamo con il superamento del 5% e nemmeno con la divergenza. Il golden cross potrebbe essere un ulteriore segnale rafforzativo di bull market EurUsd ancora per il 2023.
La FED mantiene un atteggiamento hawkins sui tassi di interesse ma promette ai mercati che rallenterà il passo. Quindi un rialzo di 50 punti base a febbraio e poi altri 25 in primavera. Se l’inflazione rispetterà il percorso di rientro. In caso contrario nuovi aumenti saranno da mettere in preventivo. Quello che non è piaciuto ai mercati azionari, che hanno corretto pesantemente, è stata la view sul 2023. Nessun taglio dei tassi è previsto perché l’inflazione deve essere domata prima di deporre le armi.
Ogni dato macroeconomico da qui in avanti sarà decisivo per determinare anche l’andamento dei cambi. Numeri troppo benigni per l’economa sarebbero un bene per il dollaro, un male per l’azionario. Significherebbe una FED che dovrebbe rimanere restrittiva più a lungo.
Atteggiamento simile per la BCE con la novità Bank of Japan. A Francoforte si è deciso di mantenere un atteggiamento di aumento costante nei tassi da 50 punti base fino a quando l’inflazione non mostrerà le condizioni giuste di riallineamento al target del 2%. La prima parte del 2023 sarà quindi ancora all’insegna dell’aumento del costo del denaro con un ulteriore misura restrittiva che ha fatto ispessire gli spread tra titoli periferici e Bund tedeschi. Il Quantitative Tightening sarà realtà a partire da marzo 2023 riducendo progressivamente il flusso di acquisti sulle obbligazioni europee.
Dal Giappone intanto arriva una novità clamorosa. La BOJ permetterà ai rendimenti giapponesi decennali di salire fino allo 0,5%, una decisione epocale che secondo gli analisti anticipa la decisione di alzare i tassi di interesse in primavera. E lo yen ha messo a segno immediatamente un poderoso rialzo.
Graficamente non ci sono dubbi. Area 1,06 è cruciale per il cammino rialzista dell’euro. Da qui passa la down trend line e il 38,2% di ritracciamento dell’intero ribasso. Normale il tentennamento del mercato su questa zona di prezzo ma un superamento deciso di questa soglia tecnica aprirebbe le porte ad un allungo compreso tra 1,09 e 1,12.
Il grafico successivo mostra due elementi importanti per il futuro di EurUsd. Il primo si riferisce alla figura di golden cross. Quando la media mobile a 50 giorni taglia dal basso verso l’alto quella a 200 giorni si parla di golden cross. Quando accade il contrario dall’alto verso il basso si parla di death cross. I quattro più recenti casi degli ultimi anni dimostrano l’affidabilità del segnale nell’anticipare la nascita di una nuova tendenza. Al momento ci sono 80 pips di differenza tra le due medie (1,032 quella a 50 e 1,04 quella a 200 giorni).
Il secondo aspetto interessante del grafico si riferisce al Price Oscillator. Indicatore che misura la differenza tra prezzo spot e media mobile a 200 giorni. Gli ultimi due casi di top su EurUsd si sono visti non solo con un Price Oscillator sopra al 5%, combinato ad una divergenza rispetto ai prezzi. Siamo ancora lontani da questo evento.
La FED proseguirà con un passo più lento ma deciso, la stretta sui tassi di interesse. Con l’aumento previsto di 50 punti base la banca centrale americana procede con il settimo rialzo consecutivo portando il costo del denaro al 4.5%, il livello più alto degli ultimi 15 anni. Anche i tanto attesi “dots” confermano le attese della vigilia con un tasso terminale compreso tra 5% e 5.25% nel 2023. Il ritorno al 3% sarà, secondo le previsioni dei banchieri centrali, questione del 2025. Servirà quindi tempo per domare l’inflazione sperando che nel frattempo l’economia non soffra troppo un fenomeno, quello di un denaro decisamente più caro rispetto agli ultimi 10 anni, che sembra essere più che altro un definitivo ritorno alla normalità dopo gli eccessi post Grande Crisi Finanziaria.
Il motivo di questo attendismo della FED nel dare in pasto ai mercati l’idea circolata negli ultimi giorni addirittura di un taglio dei tassi già nel 2023, è strettamente collegato all’inflazione. Riviste al rialzo le previsioni per il prossimo anno (3.1% contro 2.8% precedente) con conseguente deciso calo della crescita economica attesa a settembre al 1.2% nel 2023 e ora abbassata ad un modesto 0.5%. Solo nel 2025 l’inflazione tornerà al 2% e la crescita al livello obiettivo di lungo periodo del 1.8%.
FED quindi che non prevede recessione anche se i numeri sono piuttosto risicati e basterà poco per spostare gli equilibri.
Con i mercati azionari che potrebbero consolidare in area 4 mila di S&P500, il tasso a 10 anni in area 3.5%, anche per il cambio EurUsd potremmo trovarci di fronte all’esaurimento della spinta propulsiva della valuta europea. Almeno nel breve periodo come vedremo tra poco.
Mantiene le promesse anche la BCE che nella giornata successiva al FOMC ha alzato il costo del denaro di 50 punti base mostrando però un atteggiamento più hawkins del previsto e soprattutto formalizzando l’avvio del Quantitative Tightening, ovvero la riduzione degli acquisti di bond europei.
Vola l’euro sulle ali di un entusiasmo che ha portato il sentiment a livelli decisamente ottimistici. L’Adx è l’indicatore di forza del trend. Quando supera i 30 punti significa che la tendenza sta accelerando; quando supera 40 punti che sta deviando verso l’eccessivo ottimismo e quando supera 50 verso l’euforia.
Il recente movimento di EurUsd è stato assecondato e confermato da un Adx in costante ascesa, oggi abbondantemente sopra i 45 punti. Fenomeno già visto a luglio 2022 (il trend era bearish), nel 2021 (bearish) e nel 2020 (bullish). Soprattutto in questi due ultimi casi notiamo l’analogia nel comportamento dei prezzi capaci di valicare il livello tecnico per eccellenza rappresentato dalla media mobile a 200 giorni. Quello dell’Adx risultò essere allora un segnale di eccesso in grado di offrire al mercato qualche settimana di consolidamento, ma anche di conferma di una tendenza che era cambiata e che nei mesi successivi avrebbe guadagnato terreno. Salvo ritorni rimmediati sotto la media mobile posizionata a 1.04, la prima parte del 2023 dovrebbe essere ancora all’insegna dell’euro con una spinta propulsiva però decisamente minore. La resistenza di 1.065 è importante perché qui si annidano i minimi Covid di marzo 2023. La chiusura di settimana sembra confermare la sua solidità Andare oltre aprirebbe le porte a zona 1.10.
Tecnicamente siamo di fronte ad una zona di supporto per il dollaro molto significativa e lo si comprende osservando il grafico del Dollar Index. I massimi del 2016 e del 2020 passano proprio nella zona di prezzo interessata oggi. Solo un aspetto stride ancora e potrebbe far pensare ad un provvisorio affondo sotto i supporti. L’Rsi settimanale non è ancora ipervenduto e con divergenze significative. Qualche pressione ribassista sul dollaro permarrà ma il più dovrebbe essere fatto.
Il 14 dicembre la FED dovrebbe annunciare un rialzo di altri 50 punti base, seguendo le indicazioni di Powell di un rallentamento nel passo di crescita già nell’ultimo meeting del 2022. I mercati sono posizionati per questo e forse anche qualcosa di meglio in ottica 2023
Il 15 dicembre tocca alla BCE aumentare probabilmente di 50 punti base un costo del denaro che sta andando ad incidere sempre più su una sterile crescita economica. Per il momento rimangono tranquilli gli spread sugli stati periferici nonostante le minacce BCE di vendere parte degli attivi sul mercato
EurUsd tenta di nuovo l’assalto alle resistenze ma senza successo. Cruciali i meeting e soprattutto le parole a margine da parte di Powell e Lagarde per capire le prospettive futuro del cambio
Se la FED ha delle informazioni privilegiate sull’inflazione futura non lo sappiamo, ma certamente non potrà essere il dato di ottobre con una moderata limatura sotto le attese dei prezzi al consumo, ad indirizzare la banca centrale verso un percorso di stop nel rialzo del costo del denaro. I mercati prezzano un rialzo di 50 punti base nel meeting di dicembre, altri 50 a febbraio e solo una modesta possibilità di rialzo di 25 punti base nel secondo trimestre. L’inflazione avrà piegato la testa per allora? Per un semplice effetto statistico probabilmente sì, ma abbiamo seri dubbi che la FED con questa mossa riuscirà a riportare i prezzi la consumo sotto al 3%. I prezzi alla produzione pubblicati venerdì hanno confermato con un aumento sopra le previsioni, che la battaglia non è finita.
Il rallentamento economico c’è ma appare meno drammatico del previsto; la riapertura seppur parziale della Cina potrebbe restituire vigore al commercio mondiale. Prezzi di commodity come il petrolio sono scesi favorendo un ritracciamento di quei prezzi delle benzine guardati sempre con grande attenzione dagli americani. Il dollaro percepisce il rischio di uno stop nel vantaggio di tasso offerto dai bond USA e ritraccia arrivando, come vedremo tra poco, a ridosso di livelli critici.
Lato Eurolandia la BCE ha smesso i panni del falco ed è attesa da un prudenziale ritocco di 50 punti base nel costo del denaro con target finale nel 2023 al 3%, ben al di sotto di previsioni aggressive di settembre. Anche in Europa il rallentamento è evidente e il clima freddo che potrebbe colpire soprattutto i paesi nordici potrebbe peggiorare lo shortage di gas naturale nel Vecchio Continente.
Il mese di dicembre stagionalmente non sorride al dollaro americano che deve resistere per tentare di sfruttare, all’opposto, quella forza stagionale che invece storicamente caratterizza il primo bimestre dell’anno.
Tecnicamente non è cambiato molto dalla scorsa settimana. Il crocevia rimangono le resistenze di area 1,05/1,06, ancora sollecitate ma non abbattute. Raggiunto di fatto l’obiettivo della figura di testa e spalla formalizzata a novembre il mercato si trova di fronte la resistenza principale di 1,06. Qui passa la down trend line che scende dai massimi del 2021 e qui si trova anche il 38,2% di ritracciamento dell’intero bear market. Una prova di forza dell’euro sarebbe cruciale per un bel 2023.
La resistenza di 1,06 esce rafforzata anche dal secondo grafico che proponiamo di seguito. La retta di regressione che accompagna dalla crisi del 2008 EurUsd è proprio in transito dalle parti di 1,06. Il minimo ciclico colpito con estrema precisione nel 2022 ci dice che fino al 2025 non avremo altri punti di rilievo per il cambio, minimo o massimo che sia. Nel frattempo, uno scavalco della retta di regressione aprirebbe le porte ad un allungo verso la parete superiore del canalone ribassista. Dalle parti di 1.18 potremmo così trovare il massimo potenziale della valuta unica in questa nuova fase di debolezza del dollaro.
Il dollaro americano mette in archivio il peggior mese dal 2010 con un calo del 5% a novembre zavorrato anche dalle aperture di Powell sul rallentamento della politica monetaria in aperto contrasto con altri membri del board FED. A partire da quel Bullard che, assieme ad altri importanti esponenti della banca centrale più importante al mondo, ha evidenziato che il mercato sta sottostimando quanto la FED può continuare ad essere aggressiva sui tassi nei prossimi periodi. Ma come detto ci ha pensato Powell nell’ultimo giorno di novembre a rimescolare le carte indicando come potrebbe proprio essere il mese di dicembre quello giusto per ridurre il passo nel rialzo dei tassi. Un regalo ai consumatori in vista del Natale e ovviamente anche a Wall Street che è salita immediatamente di oltre il 3%
L’inflazione europea sembra intanto aver raggiunto un picco. Il dato aggregato è uscito a 10% contro il 10.4% atteso, la prima decelerazione da giugno 2021. Inflazione core ferma al 5% sempre su base annua. Se in Spagna i prezzi al consumo sono saliti del 6.6% contro il 7.1% atteso grazie al taglio dei costi dell’elettricità, in Germania rimane torrida la temperatura dell’inflazione con un dato fissato a 11.3%. La probabilità di un rialzo dei tassi da 75 punti base il 15 dicembre è decisamente scemata sotto al 25% rendendo quindi scontata una mossa meno aggressiva da mezzo punto percentuale che però non è bastata a raffreddare la temperatura su un euro tornato a ridosso delle resistenze che contano.
A favorire il rally di EurUsd in un primo momento anche i pessimi dati usciti dal sondaggio ADP sull’occupazione che hanno confermato il peggioramento del contesto congiunturale americano. Poi sono arrivati i dati sulla creazione di buste paga a novembre, ben oltre le 200 mila attese. Ma il mercato oggi è convinto che se le cose peggioreranno allora per il futuro è meglio così perché la FED avrà le mani più legate sui tassi.
Per quello che riguarda EurUsd la fase di avvicinamento alle resistenze che contano prosegue. La down trend line in transito a 1.065 scende di circa 30 pips a settimana e questo ci porterebbe a metà dicembre con un cross che in zona 1.06 impatterebbe le resistenze più cruciali in ottica 2023. E in quel momento la FED avrà in mano il destino del dollaro.
Dopo una breve pausa di riflessione EurUsd sembra aver ripreso la sua marcia rialzista con una certa decisione che potrebbe riportare a breve il cambio in prossimità di quelle resistenze di 1.06 che lo ribadiamo sono decisive. Qui si annida infatti il 38.2% di ritracciamento dell’intero bear market ed uno sfondamento aprirebbe le porte ad un allungo fino a 1.10/1.13. Ogni pull back verso la media mobile ora in transito a 1.015 è da prendere come opportunità per scaricare dollari a favore di euro.
Il mercato ci crede. Crede ad una banca centrale americana che rallenterà il passo nel meeting di politica monetaria del 13 e 14 dicembre e progressivamente lo andrà a fare anche per la prima parte del 2023 arrivando ad uno stop definitivo entro la fine del primo semestre 2024.
Alcuni segnali che arrivano dall’altra parte del mondo, vedi Nuova Zelanda, potrebbero essere un alert che la lotta all’inflazione non è ancora vinta e richiederà sforzi aggiuntivi, ma il mercato sembra in questo momento non preoccuparsene avendo ormai anche dimenticato, o comunque messo ai margini, la guerra in Ucraina e il ritorno di fiamma del Covid in Cina.
Gli indicatori Pmi in Europa rimangono ampiamente sotto i 50 punti, ma con un miglioramento rispetto al mese scorso e alle attese. Tanto basta ai trader per andare lunghi di euro come non si vedeva da tempo. Forse anche in modo eccessivo come vedremo tra poco. Mercoledì attesissimo il dato sull’inflazione aggregata della UE.
Le buone notizie che arrivano dall’America sono relative al progressivo abbassamento della curva dei rendimenti soprattutto sui segmenti più lunghi il che fa pensare ad aspettative di inflazione future effettivamente in ridimensionamento. Treasury sotto al 4% ma anche Bund sotto al 2% rappresentano linfa vitale anche per quei bond holders che hanno passato un anno tremendo.
La pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione del FOMC non ha rivelato novità particolari. La maggior parte dei membri della Fed ha chiesto di rallentare il ritmo di crescita dei tassi ufficiali nonostante dubbi sui tempi di ripresa economica 2023 e inflazione. La grande attesa di questo inizio dicembre pre FOMC è rappresentata dai dati sull’occupazione americana con 200 mila nuovi posti di lavoro previsti per novembre.
In assenza di notizie macro significative EurUsd continua perciò a muoversi in un uptrend di fondo che ora si trova di fronte resistenze molto importanti.
L’euro potrebbe approfittare nel mese di dicembre di una favorevole stagionalità che gli potrebbe quanto meno permettere di mantenere le posizioni. Posizioni che come possiamo apprezzare dal grafico possono anche spostarsi verso quel 1.06 dove transita la down trend line più importante e dove presumibilmente l’euro troverebbe una serie di resistenze destinate ad accompagnarci fino alla fine dell’anno. Le riunioni di politica monetaria di dicembre saranno decisive ma l’analisi tecnica sembra ancora sorridere all’euro.
Una chiusura di Dollar Index a fine anno sotto 104 (altro 3% in meno dai valori attuali) farebbe scattare una di quelle indicazioni che la tecnica delle candele giapponesi cataloga come bearish engulfing pattern, ma l’andamento di un oscillatore sempre di confronto dei prezzi su base annuale come il ROC (Rate of change a 12 mesi) segnala la necessità di una fase meno impulsiva per il dollaro.
Tutti i casi degli ultimi 30 anni in cui il ROC è salito sopra il 15% hanno sempre segnalato con buon anticipo l’evoluzione futura laterale o ribassista del dollaro. Altro indizio per un 2023 che non sarà più trainato dalla forza del dollaro americano.
Chiusa la tornata elettorale di mid terms negli Stati Uniti, archiviato il G20, raffreddati o quanto meno stabilizzati i costi dell’energia, le news che arrivano dall’inflazione al consumo e alla produzione americana fanno pensare ad una possibile svolta nella politica monetaria della FED. Anche il rallentamento nella corsa dei prezzi immobiliari (la componente casa pesa per un terzo del paniere di inflazione) fanno ben sperare i mercati circa una minore aggressività della FED nell’ultimo FOMC del 2022. Non a caso il mercato è già passato da una probabilità 100% di rialzo di 75 punti base a quella di 50 punti base. Non sono poi mancate alcuni interventi verbali di esponenti della FED a confermare come questo potrebbe essere l’orientamento. Ciò spiega il deciso ritracciamento dei rendimenti dei Treasury a lunga scadenza sotto il 4% ma anche il rally delle borse superiore al 15% dai minimi di ottobre.
Rimangono le tensioni in Europa dell’Est dove che missili russi hanno colpito il territorio polacco e quindi NATO. Ma al mercato piace credere ad una progressiva normalizzazione, alla stretta di mano tra Biden e Xi al G20, a banche centrali (compresa la BCE) meno aggressive. I dati di inflazione soprattutto europei non sembrano però giustificare questo ottimismo e non a caso l’euro si è riportato sopra la parità con il dollaro. In tutto il Nord Europa l’inflazione anche ad ottobre ha superato le aspettative. In Gran Bretagna il balzo dei prezzi al consumo ha portato il CPI al 11,1%. Le misure emergenziali messe in campo dai governi europei per sostenere famiglie e imprese contro il caro energia non potranno che rimandare l’appuntamento con il calo dell’inflazione alla seconda parte del 2023. E la BCE dovrà tenere alta la guardia.
Il break delle resistenze che avevamo individuate come critiche per una prima formale inversione di tendenza su EurUsd è stato confermato. Quasi raggiunto anche l’obiettivo del testa e spalla rialzista formalizzato a novembre (1.048 il top della settimana scorsa), a questo punto si ragiona sul pull back di EurUsd che potrebbe fornire una finestra di uscita o copertura per aziende esportatrici. Attorno a 1.015/1.02 il livello di supporto più significativo sul quale rientrare long.
Con la poderosa reazione di novembre non possiamo che rispolverare il grafico del cambio abbinato al ciclo a 34 mesi che con estrema precisione sta accompagnando l’euro dalla sua nascita. A fine settembre era atteso un bottom primario e così è stato con un minimo a 0.95 che dopo un mese di riflessione ha rilanciato l’azione dell’euro. Se ne riparlerà nel 2025 per un punto di svolta, se massimo o minimo lo capiremo in quel momento. Intanto prendiamo nota di questo evento tecnico che sembra confermare l’elevata possibilità di un 2023 del biglietto verde non così pimpante come il 2022.
Le elezioni americane confermano lo spostamento verso il partito repubblicano dei voti del paese pur senza sfondare in modo clamoroso e soprattutto senza veder trionfare i candidati di Trump. La corsa per le primarie repubblicane di fatto è già confermata mentre in casa democratica un Biden azzoppato esce comunque meno debole del previsto da questa tornata elettorale. Domina l’inflazione e le conseguenze che la stessa può avere sull’economia. L’atteso dato di ottobre che precede il periodo dell’inizio dello shopping natalizio conferma ancora un clima surriscaldato sui prezzi al consumo, ma meno del previsto e questo innesca un poderoso rally di borse e bond. Il 7,7% su base annuale di variazione nei prezzi al consumo è risultato inferiore alle attese di 7,9%, ma è stato soprattutto il dato core al 6,3% a scatenare gli entusiasmi dei mercati che ora sperano in una FED a dicembre meno aggressiva sui tassi.
I dati sull’andamento delle vendite potranno essere un buon metro di misura per capire di quanto sta rallentando la locomotiva americana, mentre i prossimi numeri dell’inflazione verranno pubblicato il giorno precedente l’ultimo FOMC del 2022.
Intanto in Europa arrestata a corsa al rialzo del gas, almeno per il momento, l’attesa comincia a spostarsi sulla BCE e sulla decisione che verrà presa sui tassi il 15 dicembre, Manca ancora tanto tempo e tanti dati anche se gli esponenti della banca centrale continuano a professarsi hawkins. Il mercato prezza al 100% un rialzo di 50 punti base nel meeting di dicembre con un picco nella politica monetaria che dovrebbe arrivare attorno al 3.25%, un po’ più basso rispetto a quello pronosticato qualche settimana fa.
Anche le bande di Ichimoku hanno ceduto, quindi spazio al rialzo di EurUsd? Questa tecnica che da settimane abbiamo evidenziato come utile per intercettare e soprattutto scartare i falsi segnali sembra aver dato luce verde all’euro. Infatti se il requisito di violazione verso l’alto delle resistenze identificate dalla cloud che per tanto tempo ha arginato le velleità dell’euro è stato rispettato, anche l’ultimo tassello che mancava sembra aver dato luce verde definitiva al rialzo.
La cosiddetta lagging line, ovvero il prezzo spot arretrato di 26 giorni è riuscito nell’intento di superare le “nuvole”. Come si vede dal grafico la salita di questo indicatore oltre 1.025 sembra aprire prospettive particolarmente interessanti per EurUsd. Obiettivo area 1.05 dove troviamo il 38.2% di ritracciamento dell’intero ribasso del cambio da inizio anno.
Il grafico del Dollar Index sembra confermare le indicazioni riportate sopra. L’inversione di tendenza potrebbe essere cosa fatta con il biglietto verde destinato da adesso in avanti a soffrire in attesa di trovare conferme da parte della FED nel mese di dicembre. Cedono di schianto i supporti con la up trend line che guidava il rialzo da inizio anno bucata di netto verso il basso. Il consolidamento potrebbe adesso proseguire almeno fino a quota 105.
I mercati valutari sembrano essere desiderosi di sapere quando la fase del rialzo nei tassi di interesse americani terminerà. E quando la notizia troverà la sua conferma, quelle valute in ritardo (Euro) o ferme (Yen) sul fronte della normalizzazione del costo del denaro, avranno dei benefici importanti. EurUsd sembra aver fatto le prove generali aggredendo i livelli di resistenza chiave nel corso della scorsa settimana.
Per quello che riguarda la politica della FED questa settimana sapremo di più, ma già la Bank of Canada sembra aver fornito un ghiotto antipasto con un rialzo dei tassi di 50 punti base invece che dei 75 previsti dal mercato.
Il dato di crescita del terzo trimestre dell’economia americana, salita del 2,6% oltre le attese di +2,4% degli analisti, sembra però essere un ostacolo nel convincere Powell e soci a muoversi con maggiore cautela nel corso del 2023 sui tassi. Confermata la recessione con il dato di Pil che nel secondo trimestre ha fatto registrare una contrazione dello 0,6%. Nel terzo trimestre c’è la ripresa trainata soprattutto dalle esportazioni di energia.
La BCE intanto fa quello che deve. Tassi alzati di 75 punti base e portati al 2%. Manovre che andranno avanti anche se il repentino calo nel prezzo del gas potrebbe spingere Francoforte a rivedere i target di inflazione del 2023. La BCE ha anche modificato le condizioni per i Tltro e fissato al tasso sui depositi la remunerazione delle riserve obbligatorie. Alle operazioni di rifinanziamento di lungo periodo sarà così applicato un tasso indicizzato alle media dei tassi Bce del periodo di durata del prestito. Confermata da Francoforte la volontà di proseguire nei rialzi per dare meno sostegno alla domanda e contrastare un’inflazione arrivata al 9.9%. Due elementi, però decisivi, hanno frenato la corsa dell’euro. La presenza di 3 membri del board BCE che hanno votato per un aumento di soli 50 punti base e la rimozione della parola “several” con riferimenti al numero dei meeting dove si alzeranno i tassi.
Per la prima volta dall’inizio della guerra in Ucraina l’euro tenta di risollevare la testa e il calo nel prezzo del gas naturale è una diretta causa di ciò. Gli sforamenti della media mobile di riferimento ci sono stati anche in questi mesi ma le chiusure settimanali non confermano il break. La figura di bearish engulfing pattern di venerdì rende probabile un nuovo ritorno dei ribassisti. In caso di rottura rialzista confermata di 1,01 obiettivo da posizionare a 1,05.
C’è un aspetto molto interessante da sottolineare in questa fase di mercato. Gli spread di rendimento tra titoli di stato americani e tedeschi sono tornati ai massimi da agosto, ma EurUsd sta prendendo una via sostanzialmente opposta. Ovvero il biglietto verde sta perdendo valore. La sensazione è quella di un mercato valutario che vuole giocare d’anticipo confidando in una ripresa economica più vigorosa in Europa con una politica monetaria che rimarrà restrittiva. Diversa la view sull’America che comincia a guardare a manovre monetarie meno aggressive proprio a causa di un’economia che risente dei recenti rialzi. La “crepa” tecnica vista in questi giorni sembrerebbe proprio andare in questa direzione favorevole all’euro. Le prossime settimane saranno fondamentali per avere conferme.
Le curve forward sui tassi di interesse dei paesi del G10 esprimono chiaramente cosa si aspetta il mercato. La speranza che l’inflazione raffreddi le sue pretese permettendo alle banche centrali nel 2023 di piegare finalmente verso il basso quel costo del denaro che frenerà inevitabilmente le previsioni di crescita del prossimo anno. Il dollaro americano dovrebbe essere il primo a subire un ritracciamento traslando in avanti una politica monetaria che solitamente guida le altre. Tra speranza e realtà c’è ancora tanta inflazione in mezzo che solo i prossimi mesi potranno, eventualmente, ridimensionare.
La FED si appresta così ad incrementare ancora di 75 punti base il costo del denaro alla vigilia di elezioni di Mid Terms che potrebbero “azzoppare” Biden nella guida politica del paese per altri due anni. I dati macro continuano ad essere contrastanti, ma la doccia gelata dell’inflazione di settembre non è ancora stata riassorbita.
L’Eurozona per ora evita l’onta dell’inflazione in doppia cifra con una revisione a settembre dei prezzi al consumo scesi a 9.9% dal 10% precedente. Alcuni fattori di confronto tra ottobre 2021 e ottobre 2022 potrebbero far pensare ad un ridimensionamento, seppur lieve, nei prezzi soprattutto grazie ad un raffreddamento della componente energetica. Vedremo cosa suggerirà la BCE con l’imminente rialzo dei tassi previsto per questa settimana. A distendere solo in parte il clima l’effettivo crollo nel prezzo del gas naturale quotato ad Amsterdam che ha offerto una sponda all’euro. Un preludio a quello che potrebbe accadere nei prossimi mesi? Lo vediamo tra poco
EurUsd almeno da inizio 2021 vanta una correlazione molto stretta con il prezzo del gas naturale quotato alla borsa di Amsterdam. Il recente calo delle quotazioni è stato dettato da un aumento dell’offerta di gas liquido e da un calo della domanda causato dal rallentamento economico. Un ribasso che potrebbe però fare bene all’euro. Come il rialzo del 2020 anticipò l’avvio di una fase negativa per l’euro (qui EurUsd è ripartito su scala di sinistra invertita) anche oggi potremmo essere di fronte ad un segnale anticipatore (e di forza) interessante.
Naturalmente ogni speculazione su possibili rialzi nel valore dell’euro è da rimandare al mittente fino a quando il mercato non confermerà l’avvenuta inversione di tendenza sui prezzi. Il grafico parla chiaro. La down trend line che guida da tempo il bear market non è mai stata messa in discussione. Solo un superamento della resistenza di 0.99/1.00 rappresenterà una prima indiscutibile crepa nella tendenza. A quel punto bisognerà valutare la forza dei compratori di dollari e studiare eventuali nuove strategie di trading.