Il mercato comincia a scommettere su cosa la BCE deciderà sui tassi di interesse il 20 luglio (Lagarde ha già anticipato che la gradualità in alcune situazioni può non essere appropriata) e il 21 luglio con il piano anti – frammentazione che dovrebbe evitare agli spread dei paesi debitori di allargarsi rispetto a quelli dei paesi creditori.
Qui la questione si fa più delicata viste le differenti visioni tra paesi nordici e mediterranei. Al momento il mercato prezza 25 punti base di rialzo a luglio e 50 punti base a settembre.
La curva dei tassi forward si sta assestando ormai attorno a quello che è anche il tasso target di inflazione BCE, ovvero il 2%.
Attesa che non coincide con l’effettivo livello dei prezzi ovviamente. La Spagna tocca il livello record di 10% di variazione dei prezzi al consumo contro attese di 8,7%. La Germania riesce ancora a rimanere sotto all’8%, la Francia sotto al 7%. Ma l’Eurozona nel suo complesso viaggia al ritmo siderale del 8,5%.
A questo punto solo una sorpresa hawkins da parte di Francoforte o un ritorno delle colombe dalle parti di Washington crediamo possa cambiare equilibri che sopra 1.08 di EurUsd si farebbero decisamente favorevoli all’euro. La persistente pressione verso il basso sull’euro nonostante un differenziale tassi in leggero restringimento verso i Treasury americani evidenzia tutti i dubbi che il mercato ha verso una ripresa economica europea che appare sempre più lontana. Gli esponenti della FED si mantengono intanto particolarmente attivi a livello retorico confermando che i tassi in questo 2022 arriveranno attorno al 3,5% consapevoli di un rischio recessione economica. In questo momento è la lotta all’inflazione ciò che conta, non Wall Street.
Niente da fare per EurUsd che continua a collezionare massimi decrescenti. Ancora una volta il test dell’affidabile resistenza generata dalla media mobile a 50 giorni ha innescato una retromarcia del cambio. In area 1.06 la pressione dei ribassisti si è fatta sentire in modo inequivocabile negando al cambio quanto meno un tentativo di inversione di tendenza e di ritorno verso quella zona di 1.08 che rappresenta la resistenza cruciale in ottica di medio periodo.
Per il momento l’euro non sembra riuscire a mostrare segnali di reazione consistente almeno sui prezzi. Qualche cosa si vede a livello di oscillatori con delle divergenze che quanto meno lasciano sperare in un tentativo di rimbalzo che potrebbe arrivare dopo il meeting BCE. Uno di questi oscillatori è il price oscillator, ovvero il differenziale tra prezzo spot e media mobile a 200 giorni. Raggiunto un estremo di meno 8% a maggio i nuovi minimi dell’euro stanno arrivando con un price oscillator sempre negativo ma più alto. Segno di una convergenza tra prezzo spot e media mobile a 200 giorni, ma anche di un rallentamento nella corsa verso il basso del cambio.
I mercati finanziari cominciano ad annusare aria di recessione prima ancora del previsto. Il brusco ribasso dei tassi di interesse a lunga scadenza ne è una testimonianza così come l’inversione della curva dei rendimenti. Non a caso gli spread creditizi sono peggiorati a testimonianza di un rischio credito in aumento sulle montanti preoccupazioni di maggiori insolvenze societarie. Il settore bancario sotto pressione nonostante tassi di interesse più alti è un’altra prova di un meccanismo di trasmissione del denaro che sta subendo dei rallentamenti oltre che maggiori rischi.
Con tassi dei mutui a livelli prossimi al 6% il mercato immobiliare americano comincia a soffrire. La vendita di case esistenti ad esempio risulta in calo del 3,4% a maggio seguendo il -8,6% di aprile. I nuovi cantieri sono in calo del 14%. Prevedibile che lo stesso fenomeno presto arrivi anche in Europa dove la BCE si appresta ad alzare i tassi in un contesto economico ancora più fragile.
La strategia di contenere per ora solo verbalmente le tensioni sugli spread periferici sembra aver dato i suoi frutti. Il ripiegamento del differenziale tra Btp italiani e Bund è un dato di fatto anche se il mercato rimane alla finestra in attesa di capire quali mosse la BCE metterà realmente in campo. Al momento il mercato si aspetta tassi al 1,25% entro fine anno, uno scenario che alimenta tensioni anche sulle borse del Vecchio Continente senza infiammare l’euro che fatica ad uscire dalla zona dei supporti più critici.
I segnali tecnici che arrivano da EurUsd confermano la valenza dei supporti di area 1,03 come base di rilancio per un euro palesemente sottovalutato in termini fondamentali, ad esempio di parità dei poteri d’acquisto. Uno degli oscillatori che può dare il via ad un primo segnale di inversione di tendenza è l’RSI. Uscito dall’ipervenduto adesso sta puntando la down trend line ribassista che guida il trend dal 2021. Superare al rialzo questa linea di tendenza prima dei prezzi rappresenterebbe un segnale bullish per un EurUsd che a quel punto dovrebbe dimostrare la sua forza superando 1,08.
Il livello tecnico di resistenza di area 1,08 è critico come confermato anche dalla tecnica di Ichimoku. Le nuvole e il loro spessore stanno convergendo verso una fascia di resistenza compresa tra 1,06 e 1,08. Superare questa asticella formalizzerebbe anche un doppio minimo con a quel punto gli obiettivi rialzisti che andrebbero posizionati in area 1,13. La massiccia presenza di resistenze in zona 1,08 fanno pensare che una possibile spike violenta al rialzo in occasione del superamento della resistenza non sarebbe un’ipotesi da scartare a priori.
Settimana densa di appuntamenti con le banche centrali quella appena conclusa. Partiamo dall’America. La Fed ha proceduto con il rialzo dei tassi di interesse più forte dal 1994 nel tentativo di contrastare l’inflazione. La banca centrale americana ha così alzato il costo del denaro dello 0,75% portandolo in una forchetta fra l’1,50 e l’1,75% Tassi previsti in zona 3,5% entro fine anno con Powell che si è premurato di dire ai mercati che la FED non cerca nessuna recessione economica anche se gli impatti di nuovi rialzi in tempi così ristretti qualche shock potrebbe provocarlo.
Lotta senza quartiere ad un’inflazione salita al 8,6% a causa di guerra in Ucraina e lockdown in Cina con inevitabili rallentamenti nelle catene di approvvigionamento.
Solo un membro della FED ha proposto un aumento di mezzo punto confermando come la banca centrale americana procede per ora unita in questa scelta.
Obiettivo riportare l’inflazione al 2% ma, come ha sottolineato dallo stesso Powell, diversi fattori sono fuori dal controllo della politica monetaria. Servirà tempo e pazienza insomma. Inflazione 2022 attesa al 5,2%, crescita reale del Pil al 1,7% rivista ben al di sotto delle attese.
Dall’altra parte dell’Atlantico la BCE sembra invece confusa prima del rialzo dei tassi di luglio. Dopo appena una settimana dall’ultimo meeting, la Lagarde si è affrettata a ricordare ai mercati che lo scudo anti spread esiste. Questo per sopire le fortissime tensioni che si erano create sui titoli periferici con i BTP italiani volati sopra al 4% di rendimento. Senza entrare nei dettagli la BCE sta lavorando su nuovo strumenti per contrastare la frammentazione nel caso in cui il reinvestimento non bastasse. Vedremo se il mercato cercherà di mettere alle corde la BCE prima del meeting di luglio anche se per ora sono bastate le parole per raffreddare gli spread. Non per frenare la debolezza dell’euro.
I segnali di debolezza dell’euro non sembrano ancora essere giunti ad esaurimento. Un oscillatore come il Macd ad esempio si è resettato entrando addirittura in ipercomprato dopo il movimento verso 1,07. La ritrovata forza del dollaro ha riportato velocemente EurUsd sui minimi, lo stesso non è accaduto per il Macd che quindi sembra avere ancora margini verso il basso per trascinare giù anche i prezzi spot.
Il grafico di lungo periodo di EurUsd mostra chiaramente come una prima parte del percorso della discesa dell’euro è stata completata, adesso manca solamente l’ultimo sforzo per rendere effettivo un doppio massimo che aprirebbe le porte ad una debolezza ben più estrema per la moneta unica europea. A quel punto il passaggio sulla parità sarebbe solo temporaneo verso nuovi minimi. Ipotizzabile questo scenario in un contesto di BCE che frenerà i rialzi dei tassi nel tentativo di contenere l’allargamento degli spread tra paesi periferici e core.
Risalgono sopra i 200 punti gli spread tra titoli decennali americani e quelli europei. Sopra i 280 punti base quelli tra TNote e Jbond giapponese dopo che lo yen ha raggiunto i minimi degli ultimi 20 anni a causa di una nuova conferma da parte della banca centrale nipponica che l’easing monetario proseguirà ancora per diverso tempo.
Il dollaro quindi rimane preferito allo yen, mentre nei confronti dell’euro dopo un effimero rimbalzo torna la pressione sulla zona di pericolo di 1.03.
Le speranze di chi era lungo di euro sono state un po’ gelate giovedì dopo il meeting di politica monetaria. La Presidente Lagarde ha fatto capire che i tassi di interesse saliranno a luglio in concomitanza con la fine del piano di riacquisto titoli. Nuovo aumento di 25 punti base a settembre con possibilità di arrivare a 50 punti base se i dati di inflazione non mostreranno rallentamenti. Inflazione che tornerà in zona 2% solo nel 2024. Lato spread tra periferici e paesi core, la Lagarde ha ammonito che si eviterà in tutti i modi una frammentazione tra singoli paesi. Il mercato ha risposto in maniera netta ampliando ancora di più lo spread tra Btp e Bund con il titolo italiano ormai sopra al 4% di rendimento sulla scadenza 10 anni. L’assenza di misure precise su come contenere gli spread è stata alla base del movimento dei mercati che hanno così venduto anche euro sull’incertezza.
La tecnica di Ichimoku è eccellente per filtrare falsi segnali e per individuare un range di supporti o resistenze che possono aiutare i trader nel definire strategie long short. Nello specifico di EurUsd la fascia di resistenza piuttosto spessa compresa tra 1.075 e 1.09 è stata solo appena sfiorata ma questo è bastato all’euro per fare marcia indietro. Sono questi i livelli che dovremo monitorare anche nelle prossime settimane per capire se e quando la moneta unica europea riuscirà ad invertire la sua tendenza ribassista. Ma intanto 1.03 è sempre più vicino.
Il grafico di lunghissimo periodo del Dollar Index è esemplificativo della situazione nella quale si sta trovando il biglietto verde. Siamo ai massimi degli ultimi 20 anni contro yen, ma il dollaro è forte anche contro euro. Per la terza volta dal 2016 il Dollar Index sta tentando di insidiare quella zona di 103 che da tempo ne contiene le velleità ma che soprattutto rappresenta il 61.8% di ritracciamento di Fibonacci dell’intero ribasso 2001-2008.
Se quella in corso è una fase di distribuzione oppure è la preparazione a qualcosa di più importante lo vedremo nei prossimi mesi. Quello che conta sapere è che oltre questa soglia non ci sarebbe più nulla fino a area 120.
La Bce a luglio dovrebbe alzare il costo del denaro evitando a Christine Lagarde l’onta di essere un banchiere centrale che durante il suo mandato non ha mai mosso i tassi di interesse. Una manovra che se ha fatto bene all’euro allontanatosi dalla zona di pericolo di area 1,03, rischia di danneggiare pesantemente i paesi periferici della zona euro. Chi altamente indebitato come l’Italia e la Grecia, chi per tradizione fragile come la Spagna. I debiti sovrani di queste aree mediterranee dell’Europa sono il ventre molle di una politica monetaria che rischia di scatenare una speculazione non desiderabile in un momento nel quale l’inflazione sta già esercitando forti pressione recessive sull’economia.
Gli spread tra Btp e Bund sono così saliti sopra i 200 punti base con il tasso a 10 anni italiano abbondantemente sopra il 3%. Una pessima notizia per il paese più indebitato di Eurolandia che non potrà contare sul sostegno di una BCE impegnata nella rimozione degli stimoli monetari.
Lo stesso faranno gli Stati Uniti in un contesto però diverso visto che gli impatti della guerra tra Russia e Ucraina sono sicuramente minori rispetto a quelli europei.
Anche negli Stati Uniti si sta dibattendo sugli effetti di un del Quantitative Tightening che sta già allargando in modo importante lo spread tra rendimenti dei titoli di stati e tassi sui mutui immobiliari a 30 anni ormai sopra il 5%.
Il timore di una recessione economica è molto forte e per questo il mercato ha accolto inizialmente con favore l’apertura della FED verso una “pausa di riflessione” nel mese di settembre nel tentativo di comprendere gli effetti reali di un aumento nei tassi.
Il rimbalzo di EurUsd sta creando le giuste opportunità per i trader alla caccia di occasioni di reingresso sul dollaro a condizioni favorevoli. Facile individuare quali sono i punti di maggiore interesse per agire con una strategia short EurUsd. Media mobile a 100 giorni e down trend line rappresentano i punti ideali sui quali attuare la strategia. Il rischio appare limitato e quello che stiamo vedendo su altri indicatori come l’Adx che analizzeremo tra poco confermano che difficilmente ci sarà l’inversione di tendenza.
Tecnicamente l’indicatore di forza del trend Adx si sta resettando dopo aver toccato un top sopra 30 coinciso con il bottom di EurUsd. Al momento il dollaro sta tirando il fiato dopo la corsa degli ultimi mesi.
Nell’ultimo anno un Adx sotto a 20 (linee verticali verdi) ha creato le giuste premesse per assistere nel giro di poche sedute ad una nuova zampata del biglietto verde.
Non siamo lontanissimi e quindi attenzione ai livelli di resistenza su EurUsd perchè potrebbero creare le premesse per una nuova zampata della moneta americana.
Per la prima volta le curve swap cominciano già a mostrare dei segnali di fine del ciclo di rialzo dei tassi nel 2023 con addirittura un accenno di riduzione. Segno che il mercato sta cominciando seriamente a prezzare un rallentamento economico e dell’inflazione costringendo la FED a modificare una politica monetaria hawkins che dovrebbe terminare con Fed Funds tra il 3% e il 3,5%.
Dai verbali dell’ultimo meeting della banca centrale non è emerso nulla di particolare se non che alcuni partecipanti stimano in 2,5% il tasso neutrale rendendo quindi necessario un passaggio almeno al 3% per ridurre la pressione sui prezzi al consumo. Emerge anche un possibile stop ai rialzi nel mese di settembre in attesa di comprendere il reale effetto delle manovre dai dati macroeconomici. Questo non è piaciuto ai possessori di dollari.
La BCE dal suo blog ha comunicato al mercato le sue reali intenzioni. Madame Lagarde ha indicato nell’estate il momento migliore per alzare i tassi anche se non traspare tutta questa fretta di uscire dal Quantitative Tightening. Dopo 10 anni praticamente di perenne politica monetaria espansiva rimuovere gli stimoli troppo in fretta può provocare scossoni importanti sui mercati e quindi va usata prudenza secondo la BCE. Ma qualcosa per contrastare l’inflazione va fatto e per questo i mercati swap prezzano 150 punti base di rialzo entro 12 mesi con il primo ritocco già a luglio.
Questi tentennamenti hanno favorito gli spread tra periferici e core la cui corsa era stata quasi ininterrotta per questa prima parte dell’anno.
Tecnicamente l’euro riesce ad allontanarsi dalla parità e punta verso le prime resistenze di rilievo.
Il movimento di EurUsd è stato generato da un mix di divergenze tra prezzi e oscillatori che si sono combinate ad un palese ipervenduto che necessitava di veder riequilibrate un po’ le quotazioni. Adesso di palesano all’orizzonte le prime importanti resistenze. In successione la media mobile a 100 giorni di 1,095 e poi la down trend line partita un anno fa e che unisce in modo piuttosto regolare i massimi decrescenti di questo periodo. Il livello di resistenza in questo caso si posiziona attorno a 1,11. Solo un superamento di queste importanti soglie di resistenze cambierebbe lo scenario. Abbiamo però dei dubbi che questo possa avvenire, almeno per ora.
Era dal 2015 che EurUsd non si allontanava così tanto dalla media mobile a 200 giorni. Ben sintetizzato dall’indicatore price oscillator, un allontanamento percentuale del 10% dalla resistenza dinamica combinato alla solidità dei supporti statici ben visibili a livello grafico, ha creato le premesse quanto meno per un rimbalzo che potrebbe proseguire nelle prossime settimane verso i livelli sopra citati. Per l’euro ci sono buone premesse per vivere una prima parte di estate sugli scudi.
Il mese di maggio si sta per concludere con due segnali per EurUsd. Il primo negativo, ovvero la netta rottura ribassista della down trend line che guida il bull market da inizio secolo. Il secondo è il tentativo dell’euro di aggrapparsi ai supporti di area 1.03 sui quali si fermò la discesa della moneta unica dopo la crisi dell’euro.
Quel livello, toccato nel 2015, rappresenta sicuramente l’ultimo spartiacque tecnico di supporto prima di un affondo verso il basso che a quel punto vedrebbe la parità come un semplice punto di passaggio psicologico vista l’assenza di appigli prima dei minimi storici dell’euro.
Powell ci è andato giù duro ribadendo ai mercati che sarà lotta senza quartiere all’inflazione.
I tassi di interesse saliranno fino a quando i prezzi al consumo non cominceranno a piegare verso il basso. E martedì il suo “whatever it takes” ha sbriciolato gli indici azionari americani mettendo definitivamente la parola fine alla Powell put.
L’economia potrebbe sfociare in recessione senza preoccupare più di tanto (a parole) la Fed. Andare sopra al tasso di interesse neutrale del resto è stata una delle aperture più nette espresse da Powell e soci.
E così la curva dei rendimenti ha ricominciato ad appiattirsi con l’importante spread 10 anni – 3 mesi sceso di 50 punti base. Un segnale di rallentamento economico che va a sommarsi ad alcuni tratti intermedi di curva già negativi.
In zona Euro l’atteggiamento dovish emerso dagli ultimi verbali del meeting di aprile si scontra con parole di alcuni esponenti decisamente più hawkins. Il mercato swap continua a prezzare 150 punti base di rialzo nei prossimi 12 mesi. Il meeting di politica monetaria estivo dovrebbe dare il via ad un primo ritocco nel costo del denaro.
La falsa rottura rialzista del Dollar Index in questo mese di maggio rimane un tema centrale. Il grafico settimanale ci dice che l’affondo sopra i massimi del 2016 si è per ora risolto in un nulla di fatto.
Il dollaro è arrivato fino a quota 105 prima di tornare precipitosamente indietro sul finire di settimana.
All’orizzonte si palesa perciò quella figura di doppio massimo con doppio minimo interno che farebbe la gioia dei paesi emergenti da sempre sensibili alla forza del dollaro.
Capiremo le reali intenzioni del biglietto verde nelle prossime settimane, man mano che la Fed dovrà mantenere con i fatti le promesse sui tassi che sta apertamente dichiarando ai mercati.
Per EurUsd l’ipervenduto è evidente su tutti gli oscillatori. Ma la presenza di divergenze con prezzi e qualche figura tecnica di inversione che sembra cominciare a materializzarsi potrebbe dare un po’ di respiro all’euro. La scorsa settimana si è chiusa con un bullish engulfing pattern che, sommato ad un indicatore weekly di Stochastic Momentum Index che sembra segnalare un movimento rialzista, potrebbe essere un primo di indizio di esaurimento della forza di dollaro.
Nel tentativo di smussare gli angoli di un board composto da numerose voci che vorrebbero ovviamente politiche monetarie diverse a seconda del paese che rappresentano, la BCE deve far fronte all’inevitabile aumento degli spread tra i paesi periferici dell’eurozona (Italia e Spagna in primis) e paesi core (Francia e Germania). Il rialzo dei rendimenti su tutti i tratti di curva ha riportato i tassi sui titoli di stato più sicuri dell’eurozona sopra l’1%, almeno sulle scadenze decennali. Contemporaneamente il maggior debito pubblico sommato al progressivo disimpegno sul fronte del QE da parte della BCE per fronteggiare un’inflazione sempre più insostenibile, ha spinto gli spread dell’Italia ad esempio a ridosso dei 200 punti base.
Un problema per la Lagarde che deve muoversi tra attese di inflazione molto alte, rischio di recessione e appunto allargamento degli spread.
Intanto in America stiamo assistendo al ritorno di rendimenti reali positivi. Almeno sulle scadenze decennali infatti le attese di inflazione in ridimensionamento hanno portato ad ottenere un +0,2% di rendimento reale che non si vedeva da diversi mesi. Elemento che assieme ad una maggiore inclinazione della curva dei rendimenti contribuisce a mantenere un interesse molto alto da parte dei mercati per il dollaro americano. L’inflazione americana intanto rimane decisamente surriscaldata con un dato di aprile a 8,3% in leggero calo rispetto a marzo ma sempre sostenuto anche nella lettura del dato core uscito a 6,2%. Powell ha confermato che nei prossimi due appuntamenti la FED alzerà i tassi di 50 punti base ogni volta e così il dollaro ha preso ulteriore slancio.
Come si può agevolmente apprezzare dal grafico l’allargamento negli spread di rendimento tra titoli decennali americani e tedeschi soprattutto dal mese di febbraio quando è diventato più consistente ha fatto male a EurUsd. Con un premio di rendimento passato in poche settimane da 160 punti base a quasi 200 il mercato non poteva rimanere insensibile all’offerta di un dollaro che oltretutto si presta molto bene a ricoprire quel ruolo di valuta rifugio in un contesto particolarmente complesso a livello geopolitico.
Il grafico settimanale evidenzia con chiarezza come l’ipervenduto sul cambio EurUsd è piuttosto forte pur non sfociando in un eccessivo sentiment negativo verso l’euro. Sul mercato dei futures gli speculatori solo da poco sono diventati net short con percentuali sull’open interest tutto sommato modeste. Il processo di uscita degli speculatori dal long Euro appare quindi ancora ordinato e non tale da far pensare ad una capitolazione. Anche nel 2014 servirono diversi mesi in ipervenduto prima di intercettare un minimo primario sulla moneta unica europea. Sicuramente i supporti raggiunti sono talmente di spessore da far pensare che un loro cedimento potrebbe innescare un ritorno almeno alla parità tra euro e dollaro.
Analizzando il mercato dei futures si comprende come il sentiment sull’euro non risulti ancora particolarmente depresso o comunque tale da far pensare ad una inversione di tendenza a breve.
La FED ci mette poi del suo alimentando attese di ulteriore restrizione nella politica monetaria.
L’aumento di 50 punti base nei tassi di interesse la scorsa settimana era previsto con un mercato che continua a scommettere su una fine del ciclo di rialzo tra il 3,25% e il 3,5% con qualche punta speculativa al 3,75%. I tassi reali sulle scadenze decennali sono tornati positivi come non si vedeva da inizio 2000 e questo fa comprendere al mercato come ormai la FED si entrata in modalità tightening.
E lo stesso si può dire per la politica di QE con il passo di riduzione degli acquisti che andrà ad accelerare rispetto al previsto.
Il differenziale tassi sull’euro continua così ad allargarsi con le prospettive di crescita tra le due aree economiche in ulteriore ampliamento anche a causa di una guerra in Ucraina che da lampo sembra destinata a diventare permanente.
La Bundesbank ha stimato nelle scorse settimane in un -2% l’impatto sul Pil tedesco causato da un embargo sull’energia russa.
Difficile pensare ad una BCE che aumenta i tassi in maniera aggressiva in un contesto che rischia di diventare seriamente recessivo in questo 2022. Il mercato swap continua comunque a scommettere su 150 punti base di rialzo nei tassi di Eurolandia entro 12 mesi. Fatichiamo a pensare ad uno scenario di questo tipo qualora i dati economici dovessero peggiorare e l’inflazione ripiegare per semplici effetti stagionali.
A tutto questo si sta aggiungendo un evidente rallentamento economico in Cina che ha visto le autorità cinesi agire subito sul cambio con una svalutazione record che non si vedeva dal terribile agosto 2015.
La condizione di ipervenduto raggiunta da EurUsd è evidente osservando diversi oscillatori di prezzo. Il tasso di variazione ad un mese per esempio è scesa sotto l’asticella del -5%. Un evento tecnico che ci riporta a qualche mese fa ma soprattutto a marzo 2020 quando il dollaro venne utilizzato in modo massiccio come bene rifugio dagli investitori. Se questa dovesse rivelarsi una trappola per orsi il cambio a questo punto dovrebbe mostrare una reazione tornando sopra 1,06/1,07.
Il grafico mensile del Dollar Index intanto ci segnala qualcosa di molto importante. La variazione annua nel valore del biglietto verde è stata superiore al 15% e questo evento ha altri quattro casi simili negli ultimi 25 anni. In tutti e quattro i casi il Dollar Index è salito per diversi mesi ancora prima di correggere in modo vigoroso. Unica eccezione quella del marzo 2009 quando però l’accumulazione sul dollaro era in corso prima di esplodere in un clamoroso bull market.
La Fed non mostra preoccupazione per i tassi di interesse in costante ascesa. Con il decennale vicino al 3% e il 2 anni non lontano dal 2,75% ormai sembra essere chiaro al mercato che la politica monetaria non fermerà la sua stretta prima del 2,75%/3%.
Se ne sta accorgendo anche il mercato azionario il cui rimbalzo sembra già essersi spento sulla preoccupazione per una costante ascesa del costo del denaro.
La FED ha recepito il mandato di Biden che vuole stroncare l’inflazione prima delle inflazioni di mid terms. Difficile veder scendere i prezzi prima di novembre, ma Biden si accontenterebbe almeno di un segnale di inversione in una tendenza che sta bruciando velocemente il potere d’acquisto degli americani. Questo è il momento di pensare alla classe media e non a Wall Street e per questo il 2022 si presenterà fino alla fine particolarmente complesso per gli asset finanziari.
Al momento non sembrano esserci grandi dubbi sul fatto che la FED alzerà di 50 punti base il costo del denaro il 4 maggio e altri 50 punti base verranno molto probabilmente comunicati a giugno.
Il Beige Book ha confermato che la crescita del lavoro rimane robusta, i salari sono in costante aumento e questo rende necessaria una politica neutrale se non addirittura leggermente restrittiva per ridurre le spinte inflattive.
Anche in Eurolandia si continua a parlare di rialzo dei tassi di interesse con alcuni membri del board di Francoforte che cercano di punzecchiare una Lagarde che finora ha rintuzzato gli attacchi. Al momento l’unico ritocco all’insù il mercato lo vede a luglio sperando che a quel tempo l’economia europea possa vivere dei momenti migliori di quelli recenti.
In questo contesto il dollaro tenta l’attacco a 1,08 contro euro a quanto pare con buone probabilità di successo.
Un movimento di rimbalzo, quello di EurUsd, che era tecnicamente atteso ma che sembra già essere naufragato con i crolli delle materie prime dopo il tonfo dei mercati asiatici di lunedì. Le divergenze tra prezzo e Rsi che avevamo segnalato la settimana scorsa hanno temporaneamente supportato l’euro che però ha immediatamente ripiegando cedendo 1,08. La media mobile a 100 giorni di area 1.11 rimane la massima ambizione per un cambio che in questo momento appare ancora inserito in un solido bear market.
Se la divergenza sui grafici daily non sembra aver avuto molto successo nell’aiutare il rimbalzo dell’euro, osservando i grafici di lungo periodo gli investitori nella moneta unica europea cominciano a guardare con seria preoccupazione il grafico mensile di EurUsd. Formalmente una chiusura di aprile sotto 1.09 aprirebbe le porte all’inversione di tendenza del trend bullish di lungo periodo. Si può concedere un’apertura di credito per il mese di maggio ma se l’euro non recupera in fretta questo supporto la parità sembra diventare un obiettivo possibile in questo 2022 di EurUsd.