La settimana scorsa ha vissuto sull’onda prevalentemente di due eventi. Il primo confronto Trump-Biden e l’attesa per l’appuntamento elettorale francese dove Macron si gioca una buona fetta della sua permanenza all’Eliseo. L’appuntamento finale del doppio turno francese sarà per il 7 luglio, ma certamente questo stato di tensione si avverte sull’euro e sul mercato obbligazionario europeo dove gli spread francesi rimangono larghi. I primi risultati confermano la sconfitta di Macron e la vittoria della destra, ma anche la sorpresa della sinistra.
Le voci della BCE si sono alzate ripetutamente da parte di banchieri centrali desiderosi di gettare acqua sul fuoco di nuovi tagli nei tassi che il mercato richiede a gran voce in Europa dopo aver visto un’inflazione e una crescita in rallentamento.
Le notizie giunte da paesi come Canada, Australia e Norvegia di recente non sembrano incoraggiare, anche se la Gran Bretagna sta invece vedendo rallentare più del previsto i prezzi al consumo.
Una settimana avara di dati anche negli Stati Uniti dove per il momento la Federal Reserve sembra aver messo in chiaro come intende muoversi sul costo del denaro.
Prima servono segnali di rallentamento dal mercato del lavoro e poi si comincerà a ragionare sul se e quando intervenire. Curva dei rendimenti ancora invertita e mercati azionari ai massimi storici non cambiano quindi la musica di sottofondo dei mercati.
Il primo confronto tv tra Trump e Biden in vista delle elezioni di novembre si è risolto decisamente a favore del primo con il Presidente in carica in evidente difficoltà.
Prosegue noioso e sfiancante il trading range di EurUsd. L’assenza di notizie di rilievo ha mantenuto l’euro ben lontano dalla zona di pericolo, ma allo stesso tempo il dollaro americano si mantiene distante da quella fascia di resistenza che creerebbe le premesse per una ripartenza della moneta unica.
Sicuramente l’uscita da questo ampio rettangolo che va avanti da fine 2022 sarà destabilizzante per una delle due valute, ma fino a quando non ci saranno novità di rilievo sul fronte della politica monetaria (soprattutto americana), mantenere biglietti verdi per sfruttare il carry di rendimento rimane l’unica soluzione operativa accettabile.
Vedremo se gli esiti parziali (il secondo round è previsto il 7 luglio) delle elezioni francesi e i primi sondaggi post confronto Biden-Trump, altereranno un percorso che finora ha avuto nella bassissima volatilità una caratteristica peculiare.
I tassi di interesse americani hanno rappresentato, nell’ultimo anno, un’eccellente guida per quello che poi è stato l’andamento del Dollar Index. Salgono i tassi e sale il dollaro. Scendono i tassi e scende il dollaro. Fino alla divergenza in corso.
Spiegabile probabilmente con una forza del biglietto verde causata più dai demeriti altrui (elezioni francesi e svalutazione dello yen) che non da un cambiamento nella politica monetaria che ormai la FED sembra aver confermato come stabile almeno fino a settembre.
Non c’è fretta e voglia di modificare l’attuale stato dei tassi di interesse, almeno fino a quando non giungeranno segnali di concreto rallentamento dal mercato dell’occupazione e forse anche dalle borse in continuo aggiornamento dei massimi storici.
Evidente come in questa fase un nuovo rialzo dei rendimenti sui Treasury darebbe ulteriore vigore a un dollaro a quel punto desideroso di forzare non solo i nuovi massimi sullo yen, ma anche il critico livello di 1,05 contro euro.
Tiene naturalmente banco la Francia e la sua crisi politica che a breve troverà una soluzione con le elezioni politiche. L’’euro che per il momento subisce, ma relativamente. Lo spread tra Francia e Germania è schizzato oltre i 70 punti base, ai massimi degli ultimi 10 anni sui timori che un Governo sovranista potrebbe affidarsi alla spesa pubblica in maniera più consistente (vedi pensioni) per rilanciare la crescita, soprattutto dando seguito alle pulsioni avverse all’euro che, almeno a parole, sono state pronunciate dalla Le Pen in varie occasioni.
Macron non arriva comunque all’appuntamento del 30 giugno con i numeri dalla sua parte.
Il rating francese è stato appena tagliato ad AA con un deficit previsto costantemente sopra al 5% fino al 2025 dalla Commissione Europea. Per il momento però la moneta unica non sembra aver subito particolari scossoni, segno che i mercati non temono una Frexit. Aspettando le elezioni si può al contrario dire che forse proprio questo movimento dei bond transalpini rappresenta una buona opportunità per ricomprare moneta unica, almeno a giudicare da quello che è accaduto in passato in fasi simili di scenario di stress sugli spread.
La Fed ha sostanzialmente annunciato un taglio nei tassi nel 2024, il mercato non ci crede e ne sconta due e questo è il motivo per il quale il dollaro non guadagna tanto terreno nonostante i tormenti europei e giapponesi. Gli esponenti FED però continuano ad usare una retorica attendista, segno che la voglia di muoversi sul fronte del costo del denaro è poca.
Oltre alle elezioni francesi ci sarà da attendere l’11 luglio per il dato di inflazione americano e il deflatore del Pil del 26 luglio per capire meglio le intenzioni di Powell e dell’intera FED nell’ultimo meeting estivo previsto per il 30 e 31 luglio. L’ultima campanella prima del FOMC decisivo (e pre elettorale) del 17-18 settembre.
Osservando il grafico di EurUsd non emergono particolari segnali di stress. Il cambio rimane nella parte bassa di un range che vede nella zona di 1,05 il supporto chiave per il mese di luglio quando ci sarà maggiore chiarezza sul fronte politico europeo e dell’inflazione americana. Per il momento l’operatività continua ad essere quella di andare short all’avvicinamento di 1,10 e long in zona 1,05-1,06.
Il Dollar Index e la sua conformazione grafica sono comunque intriganti.
Il tentativo di abbattere i supporti non è andato a buon fine negando una figura di inversione di tendenza che sembrava prendere forma. Il rilancio dell’azione bullish da parte del dollaro getta adesso uno sguardo attento poco sopra 106. Dovesse essere perforata la resistenza che contiene il biglietto verde dalla fine della scorsa estate si aprirebbe un inaspettato fronte valutario americano che a quel punto significherebbe addio ribasso nei tassi nel 2024.
Prima del FOMC i mercati ci speravano. L’inflazione di maggio in America aveva mostrato un rallentamento ulteriore a 3,3%, ancora più intenso sul dato core a 3,4%. Powell ha però gettato acqua sul fuoco confermando che al massimo sarà uno solo il taglio nel costo del denaro nel 2024. Il braccio operativo di politica monetaria non ha ancora ravvisato le condizioni per avere evidenze che l’inflazione stabilmente stia convergendo verso il 2%. Il mercato prezza adesso un taglio pieno nel mese di novembre e questo anche a causa di dati sullo stato dell’occupazione molto confortanti e che di fatto rischiano di aumentare le pressioni salariali.
Dall’Europa intanto sono arrivate due sentenze. La prima, quella dell’avvio di una fase di easing da parte della BCE che però sembra già mettere le mani avanti. Lagarde ha infatti precisato che potrebbe passare molto tempo prima del prossimo taglio nel costo del denaro. Il mercato non arriva al 100% di probabilità nemmeno a dicembre 2024 e anche in questo caso, come per gli Stati Uniti, saranno i dati a definire il nuovo percorso di alleggerimento nel costo del denaro.
I dati di produzione industriale continuano intanto a fornire numeri poco incoraggianti e ad aprile il calo su base annua è stato del 3% con la Germania che continua a rimanere il fanalino di coda della UE.
La seconda sentenza emessa la scorsa settimana è quella elettorale. Tutto sommato il Parlamento europeo si sposta più a destra ma non ci sono grandi scossoni a livello di maggioranza parlamentare che dovrebbe sostenere una ricandidatura di Ursula Von der Leyen come nuovo Presidente della Commissione Europea.
I problemi piuttosto arrivano dalla Francia dove il Presidente Macron, uscito sconfitto, ha indetto nuove elezioni che potrebbero incoronare il partito della Le Pen come leader del paese. Volano gli spread Oat-Bund, scende la borsa francese, in calo l’euro.
Si è mosso EurUsd dopo i vari eventi accaduti in Europa e America su tassi e politica. Un po’ di volatilità che però non ha creato le condizioni per nessun movimento di rottura dei supporti e delle resistenze chiave. Almeno per ora. Prima una discesa violenta di quasi 200 figure da 1,09 e 1,07 in seguito all’instabilità politica francese che ha costretto il Presidente Macron ad indire nuove elezioni. Poi la FED e il dato di inflazione che hanno creato le premesse per un rimbalzo di nuovo a 1,08 sulla sensazione che comunque in Europa gli equilibri politici consentiranno la formazione in tempi rapidi di una nuova Commissione Europea. E poi un nuovo affondo sempre con la Francia a fare da imputato principale.
E così la settimana si è conclusa in calo per EurUsd, ma ancora sopra ai primi supporti critici i 1,065 con 1,05 a fare da primario spartiacque.
In una fase stabile come questa lo sguardo può spaziare lontano e allora aggiorniamo il modello ciclico che prevede un massimo o minimo di spessore su EurUsd esattamente fra un anno. Un modello che dalla crisi del 2008 ha sempre fatto molto bene e che per questo è da tenere in dovuta considerazione. Per vedere aumentare le probabilità che questo punto di svolta sia un massimo serve uno strappo deciso sopra le resistenze di 1,10/1,12. Per un minimo la rottura ribassista di 1,05.
L’attività economica non rallenta e la FED non lascia trasparire nessun segnale di apertura sui tassi che, di conseguenza, si adeguano risalendo verso l’alto. Le borse attendono i meeting di BCE e la FED per avere un quadro più chiaro sull’evoluzione delle rispettive politiche monetarie In Europa l’inflazione rialza la testa e questo elemento potrebbe indurre la BCE a prendersi un altro periodo di aspettativa prima di tagliare il costo del denaro a giugno. Soprattutto in Germania i dati hanno stupito EurUsd ritorna sui propri bassi ma evita di scendere sotto supporti importanti come quelli di 1,08. Potremmo quindi essere di fronte ad una opportunità di ingresso long sulla valuta unica europea.
La decisione BCE sui tassi si avvicina e il dato preliminare dell’inflazione europea di maggio è un passaggio fondamentale per comprendere se a Francoforte agiranno veramente in questa direzione oppure si lasceranno intimidire da qualche segnale contrastante emerso nelle ultime giornate. L’inflazione torna infatti a salire in Germania nei dati preliminari di maggio. Il 2.4% supera il 2.2% precedente con il dato core al 3%. Stessa sorte anche per l’inflazione spagnola salita al 3.8%. Italia e Francia toccano il 2.7%.
Il dato aggregato europeo sale anch’esso oltre le attese al 2.6% con il dato core al 2.9%. Se sembra fuori discussione il taglio di giugno scendono le probabilità di una seconda sforbiciata entro novembre. Intanto negli Stati Uniti che condannano Donald Trump con ben 34 capi d’accuso, il Beige Book non ha fornito ovità rilevanti, se non la conferma della persistenza di una crescita delle attività abbastanza diffusa a livello regionale che impone alla FED un doveroso wait and see. Un attendismo che ha spinto i rendimenti dei Treasury ad un livello più elevato rispetto alle scorse settimane rimettendo l’euro un pò sotto pressione e comunque sempre in un contesto di volatilità molto bassa.
Tecnicamente il pull back di EurUsd potrebbe essere un’occasione di ingresso long per ritardatari. Come si può chiaramente vedere dal grafico il sostegno offerto dalla media mobile di breve periodo e dalla precedente down trend line, ha permesso al cambio di evitare un pericoloso ritorno sotto 1.08 che avrebbe rimesso in discussione tutta la struttura grafica. La capacità di reazione dell’euro potrebbe essere un indizio della volontà del cambio di portarsi a ridosso delle resistenze che contano in attesa del meeting BCE.
Questo grande clima di incertezza è ben sintetizzato anche dal grafico del Dollar Index. Se per quello che riguarda EurUsd abbiamo capito quanto importante è 1,08, per il Dollar Index non ci sono molti dubbi circa il fatto che il biglietto verde ha reagito in modo per ora eccellente a ridosso dei supporti che contano e che sostengono il bull market da gennaio. Quindi grande attenzione al prossimo movimento perché una ripartenza definitiva sopra 106 segnalerebbe la concreta possibilità di un dollaro forte in estate, periodo stagionalmente non favorevole comunque al dollaro. Segnali quindi contradditori da EurUsd e Dollar Index che dopo i meeting delle rispettive banche centrali potrebbero finalmente sciogliere qualche dubbio sulla strategia estiva.
La pubblicazione dei verbali FED relativi all’ultimo FOMC ha deluso i mercati.
I verbali dell’ultima riunione della Federal Reserve hanno mostrato una banca centrale orientata a tassi alti, per un periodo più lungo del previsto. L’inflazione, come Powell aveva annunciato, fatica a scendere come da previsioni e addirittura alcuni membri del board sarebbero pronti ad alzare il costo del denaro se necessario. Nulla di nuovo ma vedendolo scritto sulla carta il mercato ha preso atto che di tagli anticipati per ora non se ne parla. Sembra quindi farsi sempre più strada l’ipotesi di tassi oltre il 5% per tutto il 2024 anche considerando l’evento elettorale di novembre che difficilmente Powell vorrà disturbare con manovre nel costo del denaro che potrebbero favorire uno dei candidati.
Nelle varie dichiarazioni si percepisce in modo evidente che fino a quando il mercato del lavoro non piegherà la testa difficilmente verranno mossi i tassi di interesse. Diverso l’orientamento in Europa con una Lagarde che esplicitamente ha dichiarato che, vista l’inflazione dell’area euro sotto controllo, esiste una forte probabilità che la Bce tagli i tassi di interesse nel meeting del 6 giugno. Anche in questo caso i dati di inflazione e crescita economica che arriveranno da qui alla data prevista di giugno saranno decisivi nell’influenzare la decisione finale di una BCE che in caso di taglio dei tassi si muoverebbe d’anticipo sulla FED, evento inusuale (ma già accaduto) da quando è nata l’autorità monetaria di Francoforte.
Il dato composite europeo è stato però fonte di contraddizione continuando la sua corsa sopra i 50 punti, livello al quale si avvicina sempre più la manifattura. Siamo ai numeri più elevati da maggio 2023, ma sono stati soprattutto i dati di crescita dei salari a sorprendere con un +4.7% trimestrale che supera il 4.5% dell’ultimo trimestre 2023. Numeri che offrono meno certezze alla BCE.
Dal 2017 a inizio 2023 le medie mobili a 50 e 200 giorni si sono incrociati appena quattro volte sempre confermando tendenze destinate a durare per diverso tempo. Dal 2023 a oggi, quindi poco più di 1 anno, sono state ancora una volta quattro gli incroci dando una chiara idea della confusione che regna sovrana nelle sale operative. I death (ribassista) o golden (rialzista) cross tra le due medie mobili per eccellenza (50 e 200 giorni) solitamente rappresentano una conferma di un trend. Nell’ultimo anno sono state invece una trappola per tori e orsi micidiale con tanti falsi segnali che hanno impedito ai trader di sviluppare strategie efficaci. Fino a quando non si uscirà dal range che vediamo qui sotto difficile avere margini operativi efficaci.
Volatilità compressa ai minimi termini su EurUsd come si desume dalle bande di Bollinger mai così vicine tra loro dall’inizio del 2020. Riproponiamo un grafico visto qualche settimana fa. Poco da dire se non che ancora una volta il mercato (e l’esposizione long short dei traders sul mercato futures) conferma di non sapere che direzione prendere a causa di banche centrali che ancora rimangono poco orientate a scoprire le carte. Tecnicamente sopra 1.10 o sotto 1.06 (meglio 1.05) potremmo assistere ad una maggiore direzionalità. Per ora stand by.
L’inflazione offre una mano all’euro che approccia nuovamente livelli di resistenza che, se violati, potrebbero aprire le porte ad un rally della moneta unica. Ma questo lo vedremo tra poco nella consueta sezione dedicata all’analisi tecnica di EurUsd.
Il market mover della settimana, come da attese, è stato il dato di inflazione americano di aprile che ha mostrato un incremento mensile dello 0.3% contro lo 0.4% di marzo, mentre il dato annuale è salito del 3.4% contro il 3.5% atteso.
Tanto è bastato al mercato per uscire soddisfatto da una due giorni nella quale Powell si è mostrato più minaccioso del solito dicendo che la fiducia su un rientro dell’inflazione è scesa rispetto all’anno scorso. Ma ha anche ribadito che è improbabile che le prossime mosse sui tassi siano al rialzo. Un’ambiguità che nasconde il desiderio della FED di tenersi le mani libere per eventualmente rimandare ogni decisione sui tassi al 2025, soprattutto ora con le borse ai massimi storici e l’inflazione che fatica a sradicare il 3% come dato annuo nella sua versione core.
Ma sono stati soprattutto i dati flat delle vendite al dettaglio (contro attese di +0.4%) a galvanizzare gli investitori di fronte alla possibilità che un rallentamento economico trovi la pronta opposizione della FED con misure anticipate di taglio dei tassi. Escludendo auto e benzine le vendite al dettaglio sono infatti scese dello 0.1% e questo ha dato il via a importanti vendite di dollari Usa.
Dall’altra parte dell’Atlantico si continua a rafforzare l’idea che a giugno la BCE taglierà il costo del denaro, la prima di una serie di mosse comunque limitata per il resto dell’anno. La ripresa di Eurolandia, seppur lentamente, sta proseguendo con dati macro incoraggianti. Se la BCE interverrà a giugno anticiperà la FED nella manovra di taglio dei tassi, evento non certamente ordinario nella breve storia di Francoforte.
La salita dell’euro degli ultimi giorni potrebbe semplificare il lavoro della BCE a giugno. Tagliando i tassi la banca centrale avrebbe margine per gestire un eventuale ribasso nel valore della moneta unica sotto livelli di supporto che avevamo già definito chiave. Adesso area 1,085 diventa importante. E lo si capisce dalla difficoltà che ha il cambio nel riuscire a scalfire una resistenza oltre la quale si aprirebbero le porte a 1,098, massimo di marzo.
L’ipercomprato segnalato dal Rsi potrebbe essere il primo alert di arrivo del corrente rally. Se la storia di questa lunga fase laterale si ripeterà conosciamo già il finale con un rientro del cambio verso il basso dopo aver testato la parete superiore tra 1,10 e 1,12. Eventuali break rialzisti quindi potrebbero rappresentare l’ennesima trappola per tori e per questo ribadiamo ancora prudenza prima di abbandonare il dollaro.
Il grafico mensile che segue ci mostra la performance annuale di EurUsd e come si vede il trading range in corso finora ha prodotto un risultato sostanzialmente nullo.
Bassa volatilità e incertezza sull’evoluzione delle politiche monetarie hanno ovviamente avvantaggiato finora chi ha preferito il più ricco rendimento dei dollari americani a quelli dell’euro, ma proprio questa incapacità del biglietto verde di spingersi più avanti potrebbe anche nascondere una debolezza prospettica che avvantaggerebbe l’euro nel momento in cui dovesse venire confermata l’uscita dal trading range sopra 1,10/1,12.
In una settimana avara di dati importanti, il mercato si sta muovendo tatticamente in previsione dei dati di inflazione e vendita al dettaglio che usciranno nei prossimi giorni e che disegneranno in modo più accurato i contorni delle aspettative sui tassi di interesse nella seconda parte del 2024. Attualmente il mercato sconta con una certezza importante un paio di manovre da parte della FED da settembre in avanti.
In seno alla banca centrale americana si nota comunque un tono ancora leggermente orientato verso la prudenza. Sulla base dei dati macro attualmente pervenuti non sembra esserci nessuna fretta di abbassare il costo del denaro e quindi, come sempre, saranno le prossime informazioni in arrivo dai mercati a farci comprendere meglio se sarà necessaria una sforbiciata sui tassi da parte della banca centrale.
Certamente la FED di Atlanta non ha contribuito in modo positivo ad alimentare queste aspettative, indicato in una previsione del 4,2% su base trimestrale la crescita reale dell’economia del secondo trimestre 2024.
In Europa i dati economici appaiono contrastanti. Alle buone notizie arrivate dalle vendite al dettaglio hanno fatto da controaltare i dati piuttosto deboli di marzo relativi alla produzione industriale. Soprattutto Spagna e Germania hanno visto arretrare i loro indicatori con questo ultimo paese che continua a vivere un momento particolarmente infelice per effetto del combinato debolezza del settore auto più domanda fiacca in arrivo dal mercato cinese, molto importante per Berlino.
A questo ovviamente si aggiunge una politica monetaria restrittiva che a giugno potrebbe però offrire la sponda ad una prima manovra di alleggerimento del costo del denaro. Dopo la Repubblica Ceca e la Svizzera anche la Svezia ha infatti tagliato i tassi in Europa; questo potrebbe essere un antipasto di quello che faranno Lagarde e soci nel meeting del prossimo mese.
Ricordando sempre che la stagionalità attuale non è favorevole storicamente al dollaro, anche l’analisi tecnica sembra convincersi che per il biglietto verde è necessaria una fase di reset dopo la corsa delle ultime settimane. A spiegarci perché l’indicatore Relative Momentum Index. Simile al ben più celebre Rsi, l’Rmi ci mostra cosa accade al Dollaro Index dopo che viene toccata la soglia di ipercomprato sopra i 70 punti.
Oltre ad intercettare regolarmente dei top di mercato, l’indicatore lancia un messaggio molto chiaro. Prima di rientrare lunghi sul dollaro è opportuno attendere che lo stesso Rmi torni a visitare la terra dell’ipervenduto. La sintesi finale è che quindi appare ancora prematuro andare lunghi di dollaro in questo momento.
Il grafico settimanale delle bande di Bollinger conferma l’ìncertezza di EurUsd nel prendere una direzione precisa. Come si vede chiaramente dalla figura, da inizio 2023 il cambio oscilla all’interno di uno stretto range compreso tra 1,05 e 1,10 che impedisce la fuoriuscita e quindi la direzionalità più precisa del cambio in prospettiva. Non si possono per il momento fare discorsi strategici, ma solo tattici che prevedono di andare long o short a seconda del supporto/resistenza interessati.
Il dollaro forte sta creando qualche tensione finanziaria a livello globale. Alcuni paesi emergenti abbassando il costo del denaro contribuiscono all’indebolimento della valuta nazionale. In Giappone il rialzo dei rendimenti sui Treasury americani sta provocando un’emorragia valutaria sullo yen per il momento rintuzzata dagli interventi della Bank of Japan. Eppure, la FED è decisa sul piegare l’inflazione e le sue aspettative.
Nell’ultimo meeting di politica monetaria i tassi sono rimasti invariati nella forchetta 5,25%-5,50% con il comunicato finale che ha ribadito come lo stato dell’economia e dell’occupazione sorprendentemente positivi stanno impedendo il raggiungimento del target di inflazione del 2% nei tempi previsti.
Questo prelude alla necessità di continuare ad utilizzare l’arma dei tassi in modo appropriato per far convergere nel medio periodo l’inflazione verso il 2% previsto.
Notizia che ovviamente ha riportato i tassi di interesse sui titoli di stato a breve termine americani sopra al 5% in previsione di un non taglio nel 2024. Ovviamente tutta la curva dei rendimenti si è alzata dando supporto ad un dollaro americano che comunque non sembra trovare la forza di piegare le resistenze dell’euro.
In chiusura di settimana però alcuni dati come l’ISM manifatturieri, tornato sotto l’asticella dei 50 punti, e le buste paga emesse ampiamente al di sotto delle 240 mila previste, hanno fornito al mercato buoni motivi per ritornare su azionario e obbligazionario nella speranza che questi primi segnali di rallentamento convincano la FED verso un ammorbidimento del costo del denaro prima dell’inverno.
La FED non si muove e il mercato continua a navigare nell’incertezza.
Non si può dire che i trader non abbiano per il momento a loro disposizione fonti certe di guadagno. Si vende quando EurUsd arriva in zona 1,10 (o sopra), si va long quando al contrario viene sollecitata la base inferiore del trading range in zona 1,05. Ci siamo avvicinati nuovamente a questa soglia tecnica che lo ribadiamo, in caso di sfondamento verso il basso proietterebbe il cambio ben sotto la parità.
In assenza di temi andare long di EurUsd quando il cambio scende vicino a questi supporti è una buona idea e la chiusura di settimana lo ha confermato. Adesso attenzione a 1,08, livello oltre il quale l’euro potrebbe accellerare.
L’analisi grafica del Dollar Index conferma un bull market che però nelle ultime sedute ha subito un uno – due micidiale a causa prima dell’intervento dello BOJ a difesa dello yen, e poi dei dati non esaltanti arrivati dal mercato del lavoro americano che hanno allontanato l’euro dalla zona di pericolo. Per il momento nulla di clamoroso con una tendenza che rimane rialzista per il DXY, ma attenzione a zona 104 la cui perforazione comincerebbe a mettere in difficoltà il bull market del biglietto verde incapace di arrampicarsi fino ai massimi del 2023. Altro segnale di debolezza?
EurUsd outlook settimanale del 29 Aprile 2024 – Il dollaro ha fallito il match point
I mercati hanno le idee abbastanza chiaro su cosa dovrebbe succedere sui tassi. La BCE farà un taglio, forse due, nel corso del 2024 con la prima mossa a giugno, mentre la FED forse solo alla fine del 2024 comincerà a mettere mano alla politica monetaria qualora l’inflazione cedesse un po’ di terreno rispetto ai livelli attuali e soprattutto la crescita economica perdesse vigore. E i dati Pmi hanno cominciato in effetti a registrare qualche incertezza negli Stati Uniti, mentre in Europa a sorpresa hanno cominciata a migliorare.
Ma è stato soprattutto il dato sul Pil americano del primo trimestre a creare tensione. Non solo è risultato abbondantemente sotto le attese (+1,6% contro stime di +2,5%), ma sono state le tensioni registrate sui prezzi saliti nella versione core del 3,7% (contro 3,4%) a innervosire le borse sul timore di stagflazione.
Due bei grattacapi per Powell e Lagarde che si trovano a gestire, da fronti opposti, una politica monetaria che ovviamente altererà anche le valutazioni delle rispettive monete. Un esempio perfetto è il Giappone. Nonostante la rimozione del tasso zero da parte della Bank of Japan a marzo, lo yen è stato martellato dalle vendite arrivando ai minimi dagli anni 90. Il motivo? La crescita dei rendimenti giapponesi è stata insufficiente a fronte di un aumento dei tassi sui Treasury che rende preferibili i titoli di stato Usa (e quindi il dollaro) continuando a sfruttare lo yen come moneta ideale per fare carry trade.
La ripresa dell’euro in tal senso appare un segnale che le due politiche monetarie di Eurolandia e USA forse non si allontaneranno così tanto, soprattutto perché la Germania, ex locomotiva d’Europa, sembra indicare che una ripresa non travolgente ma interessante è in corso come testimoniato dall’indice IFO.
Persiste uno scenario di ipervenduto su EurUsd come già visto la scorsa settimana. L’indicatore RSI nella classica versione daily sembra in effetti preludere a una reazione del cambio proprio in corrispondenza del supporto di 1,05 che avevamo individuato come fondamentale per la tenuta dell’euro.
Ovviamente una considerazione che va presa in considerazione in uno scenario di EurUsd che non interrompe la sua fase laterale che dall’inizio del 2023 sta accompagnando il rapporto di cambio. In caso di sfondamento di 1,05 verrebbe infatti formalizzata la più classica delle figure di testa e spalla ribassista con conseguenze prospettiche per l’euro che a quel punto alimenterebbero attese bearish particolarmente gravose per la moneta unica europea. Ma questa ipotesi non sembra per il momento probabile.
C’è sempre la media mobile a 200 giorni a fare da spartiacque tra una fase laterale che ha appunto 1,05 come base inferiore, e un rialzo inaspettato quando importante per il futuro dei mercati dell’euro. Superare la media mobile a 200 giorni (oggi posizionata in area 1,10) non è una novità per EurUsd visto che ci ha provato senza successo ben due volte nel 2023. Riuscire nell’intento aprirebbe prospettive decisamente nuove per trader e investitori a quel punto probabilmente indirizzati verso la copertura maggiore del rischio di cambio dollaro americano. Scenario finora mai preso in considerazione da nessun analista, ma non scartabile a priori.
Sono bastate alcune parole di Powell condite da dati macro americani, tanto per cambiare positivi (vedi vendite al dettaglio), a far ripiegare il mercato azionario di quasi il 5%, spingere il dollaro e aumentare nuovamente i tassi di interesse in zona 5%. Il rischio recessione è scomparso dai radar mentre quello inflazione si riaccende soprattutto con livelli ritenuti accettabili dalla stessa FED più alti del famoso 2%. Quasi a prendere atto del cambiamento di paradigma rispetto al pre Covid quando l’asticella del 2% rappresentava quasi un obiettivo utopistico. Il cambio di passo sui tassi di interesse arrivato dal Giappone lo testimonia.
Tornando a Powell le sue parole sono state abbastanza chiare. Alle attuali condizioni di mercato ritornare verso i target di inflazione appare un obiettivo alquanto ambizioso e questo potrebbe costringere la FED a mantenere condizioni restrittive più a lungo di quello che si attendono gli analisti. Tradotto, nel 2024, salvo eventi straordinari, i tassi di interesse in America non scenderanno.
Se il taglio di giugno è ormai definitivamente accantonato nei prezzi attuali delle varie asset class, ancora sussistono residue speranze per qualche manovra dopo l’estate. Probabilmente sarà la sentenza dei mercati azionari (in caso di persistere della discesa) a muovere le future manovre sui tassi da parte della FED che al momento non sembra avere nessuna fretta. Più dovish (e questo si riflette sull’euro) la view della BCE.
La Presidente Lagarde ha confermato che il ribasso del costo del denaro potrebbe essere imminente se non ci saranno shock. L’andamento dell’euro da qui al prossimo 6 giugno, data del meeting BCE, sarà probabilmente una variabile decisiva nel disegnare il percorso futuro dei tassi euro assieme alla dinamica geopolitica sempre più tesa dopo il botta e risposta tra Iran e Israele.
Il grafico settimanale mostra con estrema chiarezza quali sono i livelli al di sotto o al di sopra dei quali cambierà completamente la struttura tecnica di EurUsd. La media mobile a 200 settimane ha fatto da argine per tutto il 2023 fino a marzo di quest’anno quando ancora una volta ha respinto gli assalti bullish dell’euro. Guardando verso il basso, lo stesso si può dire di 1,05 che sempre di più assume le sembianze di una figura di testa e spalla ribassista potenziale con il livello sopra citato che funge appunto da linea del collo di questa figura. Scendere sotto questa soglia tecnica alimenterebbe un ribasso probabilmente indirizzato al di sotto della parità. Possibile che il cambio ci arrivi prima del meeting BCE di giugno.
L’indicatore tipico di ipervenduto, ovvero l’RSI, torna nella zona sotto i 30 punti qualificando l’attuale fase come correttiva e prossima all’esaurimento. Almeno questo sembra indicare la storia più recente del cambio. Ogni volta che è entrato in questa zona, dal 2022 in avanti quando l’euro si è ripreso dai minimi, la china è stata risalita. La vicinanza dei supporti 1,05 aumenta le possibilità che vada esattamente così anche nei prossimi mesi.