Nella settimana della BCE e in attesa del FOMC in America, Lagarde non riserva grandi sorprese al mercato. I tassi di Eurolandia sono saliti di 75 punti base portando il costo del denaro a 1,25%. Francoforte ha assicurato che ci saranno nuovi rialzi con l’obiettivo di sconfiggere l’inflazione e riportarla entro il valore medio del 2% nei prossimi anni.
Il problema per la zona Euro è che però la revisione della stessa inflazione è stata sensibilmente modificata al rialzo. Nel 2022 8,1%, nel 2023 5,5%, nel 2024 2,3%. Numeri che ancora una volta renderanno amarissima la pillola di investitori che alle perdite nominali di bond e azioni sommeranno quest’anno una consistente perdita di potere d’acquisto.
Riviste al ribasso le previsione di crescita. Pil su del 3,1% nel 2022, 0,9% nel 2023 e un timido 1,9% nel 2024. Lo scudo anti spread è disponibile per contrastare dinamiche di mercato ingiustificate e disordinate che rappresentano una seria minaccia per la trasmissione della politica monetaria in tutti i Paesi dell’area.
Euro che però non è riuscito ad andare oltre un rimbalzo verso la parità anche perché dalla parte americana continuano ad arrivare forti segnali hawkins sui tassi. Powell non vuole smorzare i toni sull’inflazione tenendo ancora alte le attese del mercato. Ci sarà un nuovo giro di vite da 75 punti base e poi saranno le dichiarazione successive a fare la differenza. La curva dei rendimenti rimane piatta con i tassi a 2 anni sempre sopra il 3,5%. Le borse naturalmente non gradiscono questo tono della FED, il dollaro sì e i nuovi massimi anche contro lo yen giapponese e lo yuan cinese sono un perfetto esempio della forza dirompente del biglietto verde e del suo differenziale tassi positivo.
La BCE ha aumentato l’appeal dei rendimenti europei ma l’euro non reagisce. Sui grafici settimanali possiamo notare tuttora l’assenza di candele tipiche di una fase di inversione di tendenza. Mancano quindi quei pattern di prezzo che solitamente catturano i punti di svolta. Questo fa pensare che l’euro potrebbe scivolare ancora più giù, magari verso 0,96 o ancora peggio verso 0,90 dove si annidano numerose proiezioni di supporto. Per il momento ogni rimbalzo sembra destinato a naufragare in zona 1,02/1,03.
Se per EurUsd rimane in pista la possibilità di un affondo fino ai minimi di settembre di 0.96, il Dollar Index continua a flirtare con area 110. Se quella in corso è un’onda 5 del movimento rialzista cominciato alla fine della grande crisi finanziaria del 2008, allora possiamo ragionare come 116-117 in termini di punto di approdo di questo movimento.
Qui l’estensione di onda 3 fino al termine di onda 5 sarebbe pari a 2,618 volte onda 1.
Sempre qui onda 5 sarebbe pari a 1,618 volte onda 1.
Infine a 120 onda 5 sarebbe uguale a onda 3 coincidendo con il massimo del 2001 del biglietto verde.
Una palese sopravalutazione che ancora non ha coinciso con estremi di sentiment. Il tasso di variazione a 12 mesi ha superato il +15%, altro indizio di forza estrema. L’Rsi mensile sta sfiorando quota 80, un ipercomprato che ritroviamo solo nel 2015 e prima ancora nel 1985 alla vigilia di due fasi di ribasso del dollaro.
La sensazione quindi è che manchi ancora qualcosa (ma non tantissimo) per arrivare ad un massimo primario del biglietto verde destinato a durare per anni.