I dati su inflazione al consumo e alla produzione americani hanno tenuto banco nella settimana post pasquale.
Il dato generale di inflazione è sceso al 5% (6% a febbraio e 5,1% le attese) aumentando su base mensile solo dello 0,1%. Numeri migliori delle attese che confermano la parabola di rallentamento nella corsa dell’inflazione, ma disturbati da un dato core, depurato da energia e alimentari, ancora alto. Crescendo su base mensile dello 0,4% il numero tenuto sotto stretto monitoraggio dalla FED è addirittura salito del 5,6% dopo il 5,5% di febbraio. Meglio sul fronte dei prezzi alla produzione dove si cominciano addirittura ad intravedere dei segni meno.
Il mercato continua a non prezzare al 100% un aumento dei tassi di 25 punti base nel FOMC del 3 maggio, e al tempo stesso prevede due tagli nel costo del denaro entro fine 2023. Scenario che Powell non vuole sentire nè vedere, ma come si sa i banchieri centrali possono anche cambiare idea di fronte all’evidenza.
Pubblicati anche i verbali relativi all’ultimo meeting FED. Emerge che alcuni membri hanno valutato se fosse opportuno sospendere il rialzo nel costo del denaro già a marzo per valutare effetti finanziari ed economici anche sul sistema bancario dopo i recenti fallimenti. Altri membri avrebbero preferito un passo di rialzo ancora aggressivo a 50 punti base a causa di una inflazione ancora resiliente e così si è arrivati alla soluzione intermedia di aumento da 25 punti base.
Diverso lo scenario per la BCE (e questo fa bene all’euro) con una sostanziale certezza di rialzo dei tassi di 25 punti base il 4 maggio e un altro ritocco il 27 giugno prima di un lungo stop.
La crescita nel valore della moneta unica europea a 1,1 sta facilitando il lavoro alla BCE con una riduzione nell’inflazione importata che potrebbe indurre Francoforte a più miti consigli sulle prossime manovre sui tassi.
Il test doppio dei supporti di area 1,05/1,06 ha confermato il golden cross (incrocio di media mobile a 50 giorni con quella a 200 giorni) che ha preso corpo a inizio 2023 su EurUsd. Un segnale bullish per l’euro che trova in area 1,12 l’ultimo diaframma tecnico di resistenza prima di un ritorno del cambio verso 1,20. Da queste parti infatti troviamo il 61,8% di ritracciamento dell’intero ribasso EurUsd cominciato nel 2021 e che ha caratterizzato la stagione dell’aumento dei tassi FED con conseguente allargamento del differenziale tassi. Il superamento di 1,12 sarebbe il segnale della fine del ciclo restrittivo FED e di un probabile avvio anticipato di una fase più distensiva nella politica monetaria per rilanciare la crescita economica. A quel punto 1,18/1,20 sarebbe il passaggio successivo.
Uno dei grafici di lungo periodo che aveva sostenuto il bear market di EurUsd era quello che, su base mensile, nel 2022 aveva visto il cambio violare al ribasso area 1,10, soglia tecnica che univa i minimi del 2017 e del 2020.
Con il violento rimbalzo cominciato a fine 2022 siamo di fronte ad un esemplare pull back che, con un ritorno sopra 1,10/1,12, si trasformerebbe in qualcosa di diverso. La negazione e la definitiva inversione di tendenza del bear market di EurUsd.