I dati dell’inflazione americana hanno confermato il venire meno di una serie di fattori favorevoli stagionali durati fino al mese di giugno. Il confronto con il 2022 ha favorito un persistente raffreddamento dei prezzi al consumo che però da luglio in avanti hanno ricominciato a salire. E anche il dato di agosto, superiore alle aspettative, ha confermato questa tendenza.
Il dato headline al 3,7% non sembra comunque cambiare l’orientamento verso un nulla di fatto il 20 settembre da parte di una FED che sta cercando di capire come raffreddare l’economia senza rinvigorire l’inflazione. I rialzi di un petrolio tornato in zona 90$ promettono di mantenere la variazione dei prezzi al consumo sopra al 3% ancora a lungo. Gli scioperi annunciati dai sindacati del settore auto per avere stipendi più alti del 20% promette nuovo fuoco sull’inflazione.
A beneficio della FED un dato di inflazione core, quindi depurato da componenti più volatili come energia e cibo, che è rimasto stabile.
Le condizioni finanziarie rilevate dal rapporto settimanale della FED di Chicago continua però a segnalare un indebolimento del tessuto produttivo americano scivolato ai minimi da febbraio 2022. Intanto all’orizzonte si profila l’ombra dell’impeachment per l’attuale Presidente Joe Biden. Nelle prossime settimane sapremo quanto il procedimento avviato dallo speaker democratico alla Camera McCarthy inciderà realmente sulla corsa alla rielezione di Biden.
Intanto in Europa la BCE decide di aumentare i tassi di un altro quarto di punto. Lagarde ha usato toni più dovish confermando che l’inflazione continua a scendere, ma le attese sono per un persistere a livelli alti ancora a lungo.
L’inflazione non tornerà sotto al 2% fino al 2025 secondo le previsioni di Francoforte, confermando come la fine del rialzo del costo del denaro è scontata, meno la fase di easing.
Le economie di Italia, Germania e Francia rallentano vistosamente e indubbiamente di questo la BCE deve tenerne conto, non potendo però uscire allo scoperto prima della FED. Il rischio di una svalutazione dell’euro con un’impennata dell’inflazione importata (soprattutto con il petrolio a 90$) impone prudenza. Riviste tutte al ribasso le previsioni di crescita fino al 2025.
La battaglia tra i rialzisti di breve periodo e i ribassisti di lungo periodo vive un nuovo capitolo di una storia che dura da mesi.
La media mobile a 200 giorni caratterizzava il livello di supporto di EurUsd che negli ultimi tempi aveva consentito al cambio di riprendersi ogni volta che scendeva. Non è andata così questa volta con un break che richiederà una chiusura stabile sopra 1,08 per ripristinare il bull market. Ipotesi che appare per ora remota.
La media mobile a 20 giorni guida invece il ribasso partito a luglio e sta violando al ribasso la stessa media mobile a 200 giorni. Un death cross non tradizionale (il classico death cross è costruito con la media a 50 giorni) che nel 2021 formalizzò la partenza del bear market dell’euro. Attenzione quindi all’evoluzione di questa settimana.
L’analisi vista poco fa sembrerebbe essere confermata dall’analisi di lungo periodo. EurUsd ha raggiunto un tasso di variazione del +10% a distanza di 12 mesi e questo rappresenta un indizio di potenziale massimo in formazione come già visto nel 2018 e nel 2021. Se anche rialzo dell’euro dovesse esserci a questo punto un ritorno verso le resistenze di 1,12/1,13 sarebbe da interpretare come occasione di ingresso lungo sul biglietto verde. Sotto il 38,2% di ritracciamento dell’intero rialzo, ovvero 1,0610, per EurUsd spianata la strada verso la parità.