EurUsd outlook settimanale del 2 Ottobre 2023 – Tra banche centrali e shutdown

  • La scorsa settimana ha dominato il tema shutdown negli Stati Uniti con un rischio di blocco degli uffici federali e downgrade sul rating che ha affossato i titoli del reddito fisso. Vola il dollaro.
  • L’inflazione importata a causa di euro debole e petrolio in crescita rischia di essere un grosso problema per la BCE che potrebbe essere costretta a rivedere i suoi piani dovish per difendere un euro colpito anche dalla tensione sugli spread dei paesi periferici.
  • EurUsd che piega definitivamente i supporti e si avvia verso quella zona di 1.04 dove una reazione sarà doverosa.

Corsa alla sicurezza

I mercati si concentrano sulla possibilità che la FED alzerà ancora i tassi fino a quando l’economia non entrerà in una fase pre recessione. Con il rischio che l’inflazione torni a prendere direzioni non auspicabili con un prezzo del petrolio salito sopra i 90 dollari al barile e un gas europeo che mostra qualche tendenza alla risalita.

In America i timori di un nuovo shutdown con conseguente blocco dell’operatività degli uffici pubblici e rischi sul merito di credito del debito USA, hanno fatto impennare i rendimenti delle obbligazioni a 10 anni con i trentennali in zona 5%. Il rischio di recessione in caso di durata prolungata (l’ultimo nel 2018 durò oltre un mese) diventa sempre più attuale.

La FED per il momento si mantiene cauta e ancora non ha cominciato a produrre interventi verbali volti a dare conforto anche un mercato azionario che dopo lil FOMC di settembre è solo sceso.

In Europa intanto la BCE mostra segnali di stallo sul fronte della politica monetaria futura (a differenza della FED) con il mercato che prende atto che la convenienza relativa a detenere euro, anche in vista di un differenziale di crescita meno favorevole a Eurolandia, è decisamente inferiore rispetto a qualche settimana fa. Si riaccendono intanto le tensione sugli spread tra titoli periferici e core. Il differenziale di tasso decennale tra Italia e Germania ha toccato i 200 punti base.

I tassi reali americani hanno sfiorato intanto il 2,25% a 10 anni, il massimo dal 2008. I tassi reali tedeschi e inglese sono saliti ma decisamente meno, quelli giapponesi sono flat.

La debolezza della moneta unica europea produce però un effetto collaterale di non poco conto. Inflazione importata che si va a sommare al contestuale apprezzamento di materie prime come appunto quel petrolio che rischia di far ripartire in tutta Eurolandia i prezzi al consumo in vista della fine del 2023.

EurUsd, a 1.04 la partita si fa dura

Il price oscillator su scala settimanale era stato piuttosto abile nel prevedere la formazione di un top primario, poi sfociato in correzione, su EurUsd.

Più difficile a questo punto andare a comprendere il momento migliore per abbandonare il dollaro.
Quando EurUsd si distanzia dalla media mobile a 200 settimane per una percentuale sul prezzo spot di circa -4%/-5% scatta un alert, ma non una certezza come accaduto in occasione dei massimi degli ultimi 10 anni.

In due casi infatti, 2015 e 2018 l’euro continuò a scendere, massicciamente nel primo caso, stancamente nel secondo.

Quello di cui siamo però certi è che sembra mancare ancora qualcosa prima di entrare in “ipervenduto” da eccesso. Quindi per EurUsd la discesa potrebbe non essere finita qui.

EurUsd (grafico daily) – Il price oscillator dice che il minimo non è ancora in vista

Intanto EurUsd sta andando a realizzare in modo esemplare gli obiettivi previsti dalle onde di Wolfe commentate la scorsa settimana proprio all’interno di questo rapporto.
Obiettivo 1.041 quasi raggiunto (tra l’altro anche 50% di ritracciamento del rialzo cominciato un anno fa dall’euro) in vista.
Reazione doverosa e attesa quella dell’euro, altrimenti si punterebbe l’ultimo baluardo di 1.02 prima di un affondo a quel punto inevitabile sotto la parità che metterebbe in cantiere il bull market degli ultimi 12 mesi dell’euro.

EurUsd (grafico daily) – A 1.04 supporti decisivi per l’euro