Il taglio del rating sul debito americano non ha prodotto gli stessi effetti di quasi 15 anni fa. All’epoca, nel 2011 ovvero quando S&P declassò il rating americano per la prima volta, la borsa perse il 7% mentre i rendimenti dei Treasury scesero alla ricerca del, sembra paradossale, porto sicuro.
Nulla di tutto ciò è accaduto lunedì scorso quando anche Moody’s è arrivata dopo 14 anni alla stessa conclusione ma innescando una reazione opposta, con borse indifferenti e rendimenti obbligazionari in salita.
Un’ascesa dei tassi che sembra contagiare anche paesi come il Giappone che ha visto salire i tassi trentennali sopra al 3%, il massimo degli ultimi 40 anni.
Il CBO (Congressional Budget Office) prevede nei prossimi 30 un’esplosione del rapporto tra debito e Pil in assenza di correttivi dal 98% al 155%; questo ha come conseguenza inevitabile la richiesta di un premio per il rischio più alto da parte del mercato aggravando il costo del servizio al debito. Sarà inevitabile il nuovo attacco di Trump ad un Powell che, come gran parte della FED, vuole vederci chiaro sugli effetti dei dazi su prezzi e occupazione.
Mentre il mercato si gode questa specie di limbo da dazi combinato ad un clima di attesa circa l’evoluzione del conflitto russo-ucraino, dalla FED infatti continuano ad arrivare segnali chiari sulla politica monetaria. Non si farà nulla almeno fino a settembre.
In Europa settimana chiusa con negatività dopo che Trump ha espresso la volontà di mettere nuovi dazi del 50% sull’import di merce dall’Europa se le trattative in corso non produrranno risultati. La BCE intanto rimane in attesa di dati che potranno dare la conferma circa l’opportunità di nuove manovre espansive sui tassi. Il riavvicinamento alla Gran Bretagna dopo la Brexit del 2016 è un segnale importante e di fiducia che sempre pesare sui favori che il mercato continua ad attribuire ad un euro che non sembra aver intenzione di cedere i supporti chiave di area 1,10.
Per il Dollar Index la zona di supporto poco sotto 100 ha fatto il suo lavoro anche considerando la solidità dei precedenti massimi del 2016 e del 2020. Era attesa una reazione che c’è stata anche se non siamo andati molto più in là dei minimi, segno di una debolezza strutturale del biglietto verde.
L’idea di una figura a “bandiera” che prosegue nella sua formazione rimane quindi in piedi con un dollaro che non dovrebbe andare a ritestare nel brevissimo i minimi in attesa della fine dell’estate quando potrebbero ripresentarsi pressioni in uscita dalla divisa statunitense più forti. Al momento il livello cruciale di supporto per il Dollar Index va posizionato attorno a 97, zona di transito della up trend line che sale dai minimi del 2011.
La media mobile a 50 giorni ha svolto un eccellente lavoro di contenimento rilanciando le quotazioni dell’euro. Anche i massimi del 2024 a fatica hanno contenuto la forza del biglietto verde ed ora si assiste ad un tentativo di interrompere la breve sequenza ribassista cominciata il 21 aprile.
Il fatto che la debolezza del dollaro sia arrivata in contemporanea con il taglio del rating americano e a fronte di tassi in rialzo indica una sfiducia degli investitori verso il debito americano.