C’erano una volta i ribassi nei tassi promessi dalla FED. Non passa settimana che le attese di riduzione del costo del denaro si contraggono e ad oggi sono rimasti 75 i punti base attesi di taglio dal mercato entro fine 2024. Erano 150 all’inizio dell’anno.
La crescita rimane robusta anche se il recente ISM manifatturiero ha messo in evidenza che qualche problema comincia ad esserci. La stessa fiducia dei consumatori in calo potrebbe essere un sintomo importante. La FED di Atlanta pronostica ad oggi un primo trimestre in crescita di oltre il 3% mentre il modello della FED di New York si posiziona poco sotto.
Si respira ottimismo nelle sale operative mentre i banchieri centrali, con una retorica diversa da quella espressa alcune settimane fa, sembrano voler alzare la guardia sul rischio di un rigurgito dell’inflazione.
Intanto è praticamente ufficiale che sarà Trump – Biden la sfida presidenziale americana di novembre salvo eventi giudiziari che potrebbero interrompere la corsa del tycoon. Una sfida che evidentemente piace ai mercati finanziari ringalluzziti anche dal poderoso rally di Bitcoin dopo la quotazione dei nuovi ETF.
In Europa da segnalare il clima di calma che si respira nel mondo degli spread tra paesi mediterranei e virtuosi. Il differenziale di tasso tra BTP e Bund è sceso sotto i 150 punti base, ai minimi degli ultimi due anni. C’è fiducia nella moneta unica e questo è testimoniato dall’incapacità del dollaro di rompere al ribasso i supporti ma anche dal vigoroso recupero di EurChf. Inflazione in ulteriore raffreddamento e dati macro deludenti che continuano ad arrivare dalla Germania rafforzano l’ipotesi di una BCE in azione prima della FED entro l’estate.
Analizzando il grafico di breve periodo la trappola per orsi scattata a inizio febbraio sembra aver trovato conferma anche nel confronto tra medie mobili di breve e di lungo periodo. Il ritorno sopra 1.08 è importante non solo perché è stata recuperata la media a 200 giorni, ma anche perché potrebbe aver messo la parola fine alla discesa dell’euro cominciata a dicembre.
La battaglia è ancora in corso e la zona cuscinetto tra 1,07 e 1,08 rimane quella più delicata per la moneta unica e che probabilmente reggerà fino alle prossime riunioni delle banche centrali.
Un definitivo allontanamento dalla media mobile a 200 giorni rappresenterebbe la conferma di un ritorno in zona 1,10/1,12 per i prossimi mesi, quelli in cui la stagionalità favorevole per il dollaro verrebbe meno.
Un indicatore come il Relative Momentum index (RMI) sembra confermare la capacità di ripresa dell’euro dopo aver toccato un certo ipervenduto. L’RMI, come già accaduto in altre occasioni, ha saputo risollevarsi e questo ha coinciso con una ripresa del cambio EurUsd. Lecito a questo punto attendersi un proseguimento del rally dell’euro fino a quando non verrà almeno toccata una quota di ipercomprato da parte dell’oscillatore.