I dati di inflazone continuano a fare da catalizzatore per le future manovre delle banche centrali. Ma anche la crescita economica americana rappresenta un punto a sfavore di chi confidava in un approccio di easing immediato da parte della FED.
Le parole di Powell che hanno preceduto la Pasqua apparivano stranamente hawkins dopo il FOMC di marzo, ma probabilmente il Governatore disponeva di informazioni riservate sull’imminente report ISM manifatturiero che lunedì scorso ha stupito tutti ritornando sopra la soglia che delimita espansione da rallentamento economico, ovvero i 50 punti.
Un dato che ha visto ritornare in territorio espansivo anche le sotto componenti di produzione e nuovi ordini, ma anche la ripresa della salita della componente prezzi passata da 52.5 a 55.8, il punto più alto da agosto 2022. L’inflazione, a quanto pare, non è stata domata.
Ma anche lo stato dell’occupazione si dimostra tonico con oltre 300 mila posti di lavoro creati a marzo.
Immediata la reazione sul mercato obbligazionario con i Treasury decennali ben oltre il 4,25% e minore probabilità di taglio nel costo del denaro a giugno secondo il mercato.
Lo spread tra titoli di stato americani e tedeschi si è così impennato tornando a superare i 200 punti base e alimentando un nuovo tentativo di sfondamento dei supporti da parte di EurUsd, ancora però senza successo.
E dire che l’inflazione europea a marzo ha decisamente sorpreso in positivo con il CPI sceso dal 2.6% al 2.4%. Su 20 stati membri, un quarto di questi ha un’inflazione annuale inferiore al target del 2.0%, e più della metà vantano sono sotto al 3%. Nella vicina Svizzera i prezzi al consumo sono addirittura scivolati al 1% colpendo duro il franco svizzero che rischia di diventare la moneta da carry trade preferita dagli investitori.
Questo non contribuisce però ad alimentare le attese di tagli nei tassi di interesse. Erano 7 quelli attesi in USA ad inizio anno e sono sono 3, probabilmente 2 senza escludere il nulla di fatto considerando l’imminente evento elettorale.
Lo spread tra rendimenti decennali americani e tedeschi risale per qualche seduta sopra i 200 punti base aiutando il dollaro, ma l’immediata reazione della moneta unica europea e il successivo rientro dello spread ha di fatto certificato come trappola per orsi (qui il grafico è su scala invertita) il tentativo del biglietto verde si abbattere definitivamente i supporti di 1,08. Nel 2023 ad uno spread equivalente a quello attuale corrispondeva un rapporto di cambio in zona 1,06. Un potenziale segnale di debolezza nella forza relativa del dollaro di cui tenere conto.
Il Dollar Index dimostra in maniera chiara quanto importanti siano i livelli raggiunti di recente dal dollaro. Il 61,8% di ritracciamento di Fibonacci del ribasso cominciato ad ottobre 2023 già a febbraio era stato in grado di arginare la forza del biglietto verde. Adesso ci risiamo con la candela ribassista post settimana pasquale che rende potenzialmente un doppio massimo il test di area 105 da parte del Dollar Index. Probabile a questo punto un ritorno in zona 103.