La settimana scorsa ha vissuto sull’onda prevalentemente di due eventi. Il primo confronto Trump-Biden e l’attesa per l’appuntamento elettorale francese dove Macron si gioca una buona fetta della sua permanenza all’Eliseo. L’appuntamento finale del doppio turno francese sarà per il 7 luglio, ma certamente questo stato di tensione si avverte sull’euro e sul mercato obbligazionario europeo dove gli spread francesi rimangono larghi. I primi risultati confermano la sconfitta di Macron e la vittoria della destra, ma anche la sorpresa della sinistra.
Le voci della BCE si sono alzate ripetutamente da parte di banchieri centrali desiderosi di gettare acqua sul fuoco di nuovi tagli nei tassi che il mercato richiede a gran voce in Europa dopo aver visto un’inflazione e una crescita in rallentamento.
Le notizie giunte da paesi come Canada, Australia e Norvegia di recente non sembrano incoraggiare, anche se la Gran Bretagna sta invece vedendo rallentare più del previsto i prezzi al consumo.
Una settimana avara di dati anche negli Stati Uniti dove per il momento la Federal Reserve sembra aver messo in chiaro come intende muoversi sul costo del denaro.
Prima servono segnali di rallentamento dal mercato del lavoro e poi si comincerà a ragionare sul se e quando intervenire. Curva dei rendimenti ancora invertita e mercati azionari ai massimi storici non cambiano quindi la musica di sottofondo dei mercati.
Il primo confronto tv tra Trump e Biden in vista delle elezioni di novembre si è risolto decisamente a favore del primo con il Presidente in carica in evidente difficoltà.
Prosegue noioso e sfiancante il trading range di EurUsd. L’assenza di notizie di rilievo ha mantenuto l’euro ben lontano dalla zona di pericolo, ma allo stesso tempo il dollaro americano si mantiene distante da quella fascia di resistenza che creerebbe le premesse per una ripartenza della moneta unica.
Sicuramente l’uscita da questo ampio rettangolo che va avanti da fine 2022 sarà destabilizzante per una delle due valute, ma fino a quando non ci saranno novità di rilievo sul fronte della politica monetaria (soprattutto americana), mantenere biglietti verdi per sfruttare il carry di rendimento rimane l’unica soluzione operativa accettabile.
Vedremo se gli esiti parziali (il secondo round è previsto il 7 luglio) delle elezioni francesi e i primi sondaggi post confronto Biden-Trump, altereranno un percorso che finora ha avuto nella bassissima volatilità una caratteristica peculiare.
I tassi di interesse americani hanno rappresentato, nell’ultimo anno, un’eccellente guida per quello che poi è stato l’andamento del Dollar Index. Salgono i tassi e sale il dollaro. Scendono i tassi e scende il dollaro. Fino alla divergenza in corso.
Spiegabile probabilmente con una forza del biglietto verde causata più dai demeriti altrui (elezioni francesi e svalutazione dello yen) che non da un cambiamento nella politica monetaria che ormai la FED sembra aver confermato come stabile almeno fino a settembre.
Non c’è fretta e voglia di modificare l’attuale stato dei tassi di interesse, almeno fino a quando non giungeranno segnali di concreto rallentamento dal mercato dell’occupazione e forse anche dalle borse in continuo aggiornamento dei massimi storici.
Evidente come in questa fase un nuovo rialzo dei rendimenti sui Treasury darebbe ulteriore vigore a un dollaro a quel punto desideroso di forzare non solo i nuovi massimi sullo yen, ma anche il critico livello di 1,05 contro euro.