La FED ritorna a tagliare i tassi di interesse facendo ciò che il mercato (e Trump) si attendeva. Con la prima limatura del 2025 di 25 punti base la Federal Reserve ha portato il costo del denaro al 4%/4.25%, decisione quasi unanime visto il voto contrario del nuovo consigliere Stephen Miran appena entrato nel board e fedelissimo di Donald Trump la cui preferenza era per una riduzione da 50 punti base.
Una decisione presa soprattutto per i maggiori rischi sull’occupazione mentre, pur rimanendo elevata, l’inflazione sembra subire effetti una tantum a causa dei dazi, ma non strutturali. Sarà così ma l’inflazione media americana degli ultimi 10 anni è stata del 3% e non del 2% target fissato dalla FED. Da gennaio 2020 addirittura del 4%.
I “dots”, il grafico a punti trimestrale che indica le previsioni dei singoli governatori sui tassi futuri, segnala per fine anno Fed Fund in discesa al 3,50-3,75%. Per l’anno prossimo, i governatori “immaginano” tassi al 3,25-3,50%, confermando il taglio già previsto a giugno e per il 2027 Fed Funds rates al 3-3,25%.
Riviste al rialzo le stime di crescita per il 2025 al 1.6% e per il 2026 al 1.8%. Disoccupazione attesa al 4.5% con quella frase un pò ambigua di Powell “il rallentamento del mercato sia nell’offerta che nella domanda di lavoratori è insolito” che lascia in sospeso il giudizio della previsione. Ci sono poche assunzioni e pochi licenziamenti. Indubbiamente le nuove politiche migratorie hanno ridotto l’offerta di lavoratori e l’impatto dell’AI ha ridotto la domanda e questo è appunto un fenomeno nuovo.
Infine l’inflazione prevista al 3% nel 2025 e al 2.6% nel 2025 (rivista al rialzo dal 2.4%) per tornare al 2% solo nel 2028.
Lo stesso Powell ha precisato che il taglio di settembre è stato effettuato per aggiustare la politica monetaria alla luce delle nuove informazioni pervenute, non ci sono sentieri predefiniti per il futuro e saranno i dati a guidare le future scelte.
Questo il resoconto di una attesa riunione che non ha sancito il definitivo break ribassista di un dollaro che rimane comunque molto debole nonostante un sentiment decisamente negativo che lo avvolge. La soglia tecnica di supporto interessata è di assoluto rispetto e oltre la quale si aprirebbe uno squarcio nella corazzata americana dalle conseguenze facilmente immaginabili.

Il grafico del Dollar Index su scala settimanale chiarisce molto bene la delicatezza tecnica del momento. Un calo ulteriore del 1% sul dollaro completerebbe una sequenza a zig zag A-B-C tipica di una correzione all’interno di un bull market di lungo periodo. Si esaurirà qui a ridosso della up trend line di lungo periodo il calo del biglietto verde? Se così fosse saremmo di fronte ad una occasione di acquisto, ma le riserve rimangono tante.

Anche EurUsd conferma che forse manca ancora qualcosa al ribasso del biglietto verde. L’ultima fase è stata caratterizzata indubbiamente da una spinta verso l’alto più speculativa con l’euro che ha ripreso vigore dopo il test di 1.10. Solo la questione francese ha disturbato un percorso che forse dovrà trovare proprio in 1.20 o qualcosa di più il livello ideale per frenare la debolezza del biglietto verde lasciando al mercato valutazioni più fair.