Lentamente stanno tornando ad affluire i dati macro americani mancati a causa shutdown. Soprattutto quelli legati all’occupazione di settembre hanno tenuto banco anche se saranno soprattutto i numeri di ottobre e novembre a fornire idee più chiare circa il rallentamento economico causato dal blocco dell’attività federale più lungo della storia.
A settembre sono salite le nuove buste paga, ma anche la disoccupazione con i sussidi in crescita. Il timore è che ad ottobre, mese dello shutdown andrà peggio.
Intanto è cominciata la corsa alla successione di Powell alla guida della FED. Secondo il ministro del Tesoro sono cinque i candidati rimasti in corsa e ovviamente tutti personaggi più dovish dell’attuale Presidente. Il neo eletto si troverà comunque di fronte un board spaccato in due con le tesi hawkins (nessun taglio a dicembre) che hanno ripreso vigore facendo risalire i tassi a lunga sopra il 4% stabilmente, rinforzando il dollaro e riducendo le probabilità di taglio nel costo del denaro il 10 dicembre.
Al momento i dati che emergono dai flussi finanziari (TIC) verso gli Stati Uniti rimangono confortanti con gli acquisti di asset, soprattutto azionari, cresciuto a settembre oltre 200 miliardi. La politica commerciale di Trump tenderà in teoria a ridurre il flusso di dollari che si muoveranno verso l’estero nel tentativo di ridurre il deficit commerciale.
Poche le novità giunte dall’Europa in settimana se non il persistere di una certa incertezza nella fiducia di consumatori e imprese con la questione geopolitica ucraina che rimane sempre sullo sfondo a preoccupare alla luce del nuovo piano americano-russo di tregua.
Occhi puntati soprattutto sul Giappone con i rendimenti a lungo termine che hanno scavalcato quelli cinesi e uno yen in caduta libera, e Gran Bretagna dove c’è curiosità per il nuovo piano economico Starmer e le decisioni della BOE dopo un dato di inflazione inferiore alle aspettative che apre le porte a nuovi tagli.
Il rimbalzo del Dollar Index sui supporti di lungo periodo lascerebbe pensare alla possibilità che per il biglietto verde la fase di debolezza sia agli sgoccioli. Se così fosse anche nel rapporto di forza relativo tra oro e argento, protagonista di un forte calo negli ultimi mesi con il cugino povero del metallo giallo in grande spolvero, dovremmo essere ai titoli di coda.
Anche qui la linea di supporto di lungo periodo sembrerebbe confermare tale ipotesi, ma come spesso accade in queste situazioni lo stazionare troppo a lungo su un supporto potrebbe essere un segnale di assenza di compratori.
Stando questa situazione non dovrebbero esserci grandi dubbi sul long dollaro e oro vs argento, ma preferiamo mantenere un approccio meno assolutista (e ottimista) attendendo dei forti segnali di conferma da parte del mercato che rendano più solida la prospettiva di una strategia bullish sulla valuta americana.

Innegabile che la recente nuova picchiata verso il basso da parte di EurUsd è un segnale da non trascurare perché riavvicina il biglietto verde a quella zona di supporto di 1,14 che graficamente fa da spartiacque tra una ripresa definitiva del bear market oppure un proseguimento di un trading range propositivo per nuovi massimi dell’euro.
In zona 1,14 troviamo il minimo di luglio nonché pivot di un doppio massimo e poco sopra la neck line di una potenziale figura di testa e spalla. Sfondare al ribasso significherebbe avere una prospettiva di discesa almeno fino a 1,10 per il cambio più famoso del pianeta.
