Dopo l’Ucraina, Israele, il mercato rinnova lo stato di tensione temendo un allargamento dei conflitti su scala globale. Le divisioni tra Occidente e Oriente aumentano un’incertezza di fondo che non fa bene ai mercati, mentre agevola il recupero di beni rifugio come l’oro e il dollaro. Ma non dei Treasuries americani che toccano il 5% sulle scadenze più lunghe.
La preoccupazione per un nuovo focolaio di guerra scoppiato questa volta in Medio Oriente, con Israele vigliaccamente aggredita dai terroristi palestinesi, trova negli asset più sicuri come oro e obbligazioni un porto verso cui convergere. La FED non sembra però intenzionata a mollare sui tassi, ma il mercato spera. Dollaro comunque premiato nella più classica delle fughe dal rischio.
Negli Stati Uniti gli strascichi dell’aumento del tetto del debito formalmente rinviato a novembre, proseguono, mentre i dati macroeconomici mostrano un’economia ancora forte con le buste paga che hanno doppiate le attese a settembre. Il dollaro rimane forte anche grazie alla nuova guerra in Israele, mentre l’euro subisce vendite alimentate per lo più da prospettive di crescita molto modeste che vedono certi paesi già in recessione come la Germania e altri prossimi ad entrare in questa fase.
Negli Stati l’incubo shutdown torna a materializzarsi in un contesto di banche centrali che vogliono assolutamente contenere le spinte inflattive. Crolla il mercato dei bond, ripiega anche l’azionario, bene il dollaro, unico vero bene rifugio. In Europa la debolezza dell’euro rischia di creare qualche problema alla BCE nella gestione della politica monetaria.
Negli Stati Uniti la politica monetaria rimarrà restrittiva ancora a lungo e la FED vede tagli nei tassi solo a fine 2024. Una buona notizia per il dollaro, pessima per bond e euro. I prossimi dati definiranno meglio il percorso di una banca centrale risultata più aggressiva del previsto nel FOMC di settembre.
Negli Stati Uniti potremmo aver già visto il minimo di inflazione del 2023 con una risalita negli ultimi due mesi preambolo ad un secondo giro di rialzi causati dall’aumento dei costi energetici e di stipendi che premono per essere aggiornati. Intanto la BCE alza il costo del denaro ma con tono dovish che indebolisce l’euro.
Dopo diverse settimane di speculazione il mercato sembra aver preso atto che i tassi rimarranno alti, forse anche più dei livelli attuali, a lungo. Quasi insensibile allo shock portato dalla FED sul costo del denaro, l’economia americana non mostra segni di cedimento, quella europea sì. E questo alimenta la forza del dollaro che contro euro ha abbattuto i supporti che contano.
L’inflazione non sembra cedere facilmente il passo in Europa, mentre in America si notano alcuni segnali di rallentamento dell’economia ma ancora timidi. FED ferma sui tassi e settembre, mentre più incertezza in Europa non rilanciano EurUsd che tenta la rottura di un importante supporto dinamico che interromperebbe il bull market
L’inflazione è ancora troppo alta e questo impone il mantenimento di tassi elevati a lungo. Powell e Lagarde hanno ribadito la visione delle due banche centrali più importanti del mondo a Jackson Hole. Una pausa di riflessione potrebbe arrivare sia da parte della FED che della BCE a settembre e questo è piaciuto ai mercati, ma nuovi rialzi non sono da scartare. E questo è piaciuto al dollaro.
L’inflazione americana risale come da previsioni a luglio, dopo un anno di costante ridimensionamento. Anche i prezzi alla produzione rialzano la testa. Previsioni economiche di accelerazione della crescita inducono la FED alla prudenza nel mollare la presa sui tassi. EurUsd continua a rimanere in una fase di limbo in attesa dell’incontro di Jackson Hole a fine mese.